L'ora di lezione




Massimo Recalcati, laureato in filosofia, e specializzato in psicologia sociale, è uno dei più grandi psicoanalisti italiani della contemporaneità. Studioso di Freud e di Lacan, sostiene la tesi dell’evaporazione del padre, sempre più assente dal vissuto reale ed emotivo dei figli.

Docente di Psicopatologia del comportamento alimentare, presso l’Università di Pavia, e direttore scientifico dell’Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata, si è interessato anche di scuola, nei suoi libri.

Risale ad un anno fa, nel 2014, la pubblicazione del testo L’ora di lezione, in cui il Recalcati affronta il problema dei complessi della scuola italiana, e della demotivazione all’impegno, e allo studio, da parte dei giovani. Ma anche il tema della passione dell’insegnante, e dell’interesse per ciò che insegna. I docenti innamorati delle proprie discipline sono capaci di lasciar intuire lo iato, l’apertura, la faglia del sapere, per la quale Socrate stesso diceva che il saggio è colui che sa la sua ignoranza, e che è consapevole di non poter conoscere tutto. E questo, in una sola ora di lezione. Che, da tale punto di vista, è unica, e perciò, imperdibile, perché si rappresenta come un unicum, un’occasione irripetibile, nella vita di ciascun alunno. Nessuno può dirsi autodidatta. Tutti abbiamo avuto dei maestri di scuola, e di vita, che ci hanno insegnato ad amare il sapere in quanto tale. Per cui, l’uomo dotto è colui che rincorre questo sapere, con curiosità, nella coscienza della sua propria ignoranza. Non sono le informazioni, i dati, accumulati in memoria, a farci più o meno colti. Quanto una disposizione alla ricerca, all’apprendimento, che si fa curiosità della conoscenza in quanto tale, bisogno di confronto, passione per la lettura, attenzione ai pensieri dell’altro. La scuola dovrebbe generare il trasporto per la conoscenza. La curiosità per i mondi degli altri. Universi che si scoprono nei libri. Corpi erotici dell’insegnamento, la cui prossimità abitua a vedere i corpi fisici degli altri come altrettanti libri da leggere, e universi da scoprire.

Purtroppo, sostiene Recalcati, la scuola italiana è afflitta da tre complessi psicologici. E i suoi modelli di insegnamento fluttuano attraverso questi tre complessi, a seconda che un’epoca storica si rappresenti, incarnandolo, in uno piuttosto che nell’altro.

I tre complessi sono quello di Edipo, quello di Narciso, e quello di Telemaco.

La scuola dei padri segue il modello edipico. Si tratta della stessa scuola che ha educato il nostro scrittore. Ed è la scuola dei paradigmi precostituiti, delle autorità indiscutibili, ed indiscusse, dell’apprendimento passivo e ripetitivo di quanto sostenuto, e detto dall’insegnante, che diventa il simbolo del sapere, che riempie dall’esterno, e del potere dei padri. La scuola edipica può essere accettata o rigettata con forza, come fu fatto dai giovani contestatori del ’68, che però finirono poi per vivere in un mondo senza passato, e senza modelli, annientati dal senso di colpa per aver ucciso la figura del padre. Questo modello di scuola è, pressappoco, quella di cui parla Freud. Qui, per crescere, e diventare adulto, devi ribellarti all’autorità dei padri, rigettarla e distruggerla, per ricrearti. Il rischio è, però, quello di rimanere soli, e senza radici. Questa scuola ha prodotto anche la generazione di disadattati e di depressi cronici, senza arte né parte, in preda al delirio psicotico, e alla ricerca continua di un nuovo Prozac, che possa aiutare a sopportare e a resistere in un mondo incomprensibile ed inaccettabile. Retaggi di questa cultura li portiamo dietro ancora oggi. I loro sintomi evidenti sono l’aumento di tutte le patologie depressive, e il continuo uso di psicofarmaci che alleviano il dolore di stare al mondo.

Il secondo modello scolastico italiano è quello di Narciso. Si tratta della scuola del nostro tempo, che ha trasformato i templi della cultura in aziende efficienti, e diplomifici, in grado di sfornare diplomati e laureati alla velocità massima possibile, e col migliore profilo educativo e formativo esistente negli standard liceali ed universitari. La scuola dell’offerta formativa, dell’impresa, dell’inglese e dell’informatica, dove i contenitori culturali, come le nuove tecnologie, finiscono per essere e diventare gli stessi contenuti delle lezioni, sostituti dei libri cartacei, e della riflessione critica, agita in prima persona. Gli insegnanti di questa scuola sono soli, hanno perso ascendente sugli alunni, e si trovano in conflitto con le famiglie, loro fedeli alleate, nel modello edipico. Qui, la bocciatura o il brutto voto sono “colpa” dei docenti, che non sanno trasmettere il sapere, né educare. Perché la famiglia del modello scolastico narcisistico ha demandato tutti i compiti fondamentali alla scuola stessa. E pretende che la scuola copra quelle lacune, quelle mancanze che sono tutte della famiglia, alleandosi con i figli contro la classe docente. In questa scuola è impossibile punire, perché il provvedimento finisce per ritorcersi, inevitabilmente, sullo stesso insegnante che lo ha emanato. L’alleanza padri-figli, contro la classe docente, è sostenuta persino dai dirigenti scolastici, impegnati a soddisfare le richieste dell’utenza, e a raccogliere il maggior numero di iscritti, per superare, nella generale considerazione, l’altro liceo cittadino, o le scuole di altri orientamenti. Questa è la scuola dell’autonomia, che non dipende più dallo stato, ma che viene plasmata dalle doti e dalle virtù del dirigente che la governa. D’altra parte, la recentissima e contestatissima Riforma della Scuola, resa operativa dal Governo Renzi con la Legge 107/2015, è un’ulteriore testimonianza, laddove ce ne fosse ancora bisogno, di come la scuola italiana procede, sempre di più, verso un orientamento paternalistico-dirigenziale che, celandosi dietro al concetto di autonomia scolastica e territoriale, si prepara a compiere scelte che rischiano di apparire, ed essere, assolutamente soggettive e di parte.

L’ultimo modello scolastico, che Recalcati ci racconta ne L’ora di lezione, è quello di Telemaco, e fa riferimento alla scomparsa del padre, nella società contemporanea. L’evaporazione del genitore, di cui sempre più sovente sono espressione le famiglie separate, e lacerate dai divorzi, si manifesta in modo evidente nella scuola. Dove si è smarrita del tutto l’autorevolezza della classe insegnante, nel modello edipico simbolo della figura genitoriale del padre. Laddove, insomma, smette di essere presente il genitore, anche il maestro finisce per perdere il suo potenziale di autorevolezza, ma anche di autorità. Il docente non è più un punto di riferimento, ma significa una grande nostalgia per il passato, che sembra evaporato, svanito nel nulla. Perso in modo ineluttabile e definitivo. Il modello scolastico di Telemaco si alterna, nella nostra contemporaneità, con quello narcisistico, in una polarità di percezioni e sentimenti, che vanno dall’onnipotenza, solo presunta, dei discenti, fino alla mancanza, alla perdita, e alla depressione causata e prodotta dall’assenza prolungata della figura del padre, simbolo di forza e di potere, che ha la capacità di educare, traendo fuori dal nido materno. I giovani vivono, così, nella paura costante di incontrare, e affrontare, l’ignoto. L’incontro con la lingua straniera, la socializzazione, il dialogo che devono rappresentare un confronto con la diversità, l’accoglienza dell’altro, malato o di differente cultura, e paese, costituiscono i veri stimoli motivazionali ad uscire dalla famiglia per proiettarsi verso l’esterno. Fuori della casa c’è il mondo sociale, vivendo il quale vi sono anche le numerose possibilità di fare cultura, per contrastare le insidie della depressione, o delle droghe, sostituti temibili, e temuti, per le nuove generazioni, dell’universo culturale.

Allora ci si accorge che la vera lotta, il contrasto possibile, il modello alternativo, alle numerose devianze, o cadute, dei giovani, è rappresentato dalla scuola, come dalla famiglia.  Non da quella scuola, come è oggi concepita, che deve divertire e distrarre, per evitare la noia, o che deve competere nella corsa ai risultati e all’efficienza. Ma la scuola che è capace di creare occasioni di crescita a partire dall’inciampo, dalla difficoltà, dall’errore, dal fallimento, e anche, perché no, dalla sconfitta iniziale.

Perché la scuola, nell’aprire orizzonti di senso, nel suo svelare possibilità e mondi, nel rappresentarsi l’universo a partire da un foglio di carta bianco, dove le lettere dell’alfabeto possono disegnare nuove realtà, ha un potere immenso nel trarre fuori da sé, nell’educere, e nel sedurre.

Soltanto così i libri diventano corpi erotici, e i corpi si mutano in libri da leggere e da contemplare.

L’ora di lezione dovrebbe diventare un’occasione per accogliere l’esperienza del momento di crescita, come la “vite storta”, che non è più da raddrizzare, ma da assecondare.

Gli educatori, infatti, devono accompagnare, condurre i giovani verso la loro stessa natura. Il loro potere è la voce, e la sua modulazione; la dialettica, insieme al tono e al timbro. La voce del maestro penetra nelle coscienze, rompendo la barriera delle resistenze. Perché il primo a resistere, a scuola, è il docente. Abituato anche a parlare ai muri. Spesso inascoltato. Realmente o apparentemente snobbato dalla classe. Deriso e fallito, per l’odierna mentalità che lo vede socialmente come un perdente. Uno che non sapeva fare altro nella vita che insegnare. Magari…

Uno che, nonostante l’inciampo, resiste…

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