Danzaterapia


Avete mai provato a cimentarvi nella Danzaterapia? Vi posso assicurare che si tratta di un'attività coinvolgente e di grande divertimento, nella quale ci si può mettere in gioco se si volesse migliorare il rapporto con il proprio corpo e la relazione interpersonale. 

A differenza della danza, ciò che si esprime non è la perfezione della tecnica, ma piuttosto il proprio sè che viene fuori in maniera improvvisata e spontanea, dove non è il conduttore a proporre la sequenza, ma ogni partecipante che prenda l'iniziativa, per dire e fare ciò che l'istinto, di volta in volta, gli suggerisce.

La dimensione giocosa dello stare insieme nella relazione è una delle principali finalità della danzaterapia, che aiuta a vivere se stessi e gli altri come unità psico-corporee, nelle quali contano tanto lo spirito che la materia della propria organica fisicità.

Il presupposto teorico di questa disciplina che studia l'unità del sé è la psicologia della Gestalt, dove il percepirsi come unità è la base ed il fondamento dello stare bene con se stessi e con gli altri. Ci basti pensare che il vissuto dello schizofrenico è proprio l'opposto, e risiede nel "sentirsi fuori di sé, come fatto a pezzi", mentre il malato perde cognizione del suo essere un'unità organica e corporea in relazione al mondo che sta fuori di sé, con il quale, difatti, egli non riesce a stabilire alcuna relazione significativa, che abbia un senso compiuto e che possa fornire uno scopo, un obiettivo ed un valore alla sua stessa esperienza di vita. Nulla ha più un senso, difatti, nella frammentazione psichica dello schizofrenico.

Il presupposto pratico della danzaterapia è, invece, che tutti abbiamo un corpo, attraverso il quale ci presentiamo agli altri, e che abbiamo il dovere di curare, perché è la nostra immediata presenza fisica che racconta di noi, e di come siamo.

Il nostro corpo è materia fisica che occupa uno spazio attraverso il nostro stare nelle situazioni, ma anche a seconda di come attraversiamo il vuoto aereo, di come ci spostiamo, muovendoci nei confronti degli altri.

La CNV studia molto il nostro approccio comportamentale, la postura, gli atteggiamenti, mettendo in evidenza quanto dicano di noi gli aspetti non verbali della comunicazione. Perché noi comunichiamo molto più con gli atteggiamenti che non con le parole. E dobbiamo essere consapevoli che il messaggio che vogliamo trasmettere è molto più efficace se agito direttamente piuttosto che se verbalizzato, anche a lungo.

I più grandi maestri di ogni campo dello scibile umano, sostengono da sempre che la forma più elevata dell'insegnamento è l'esempio, non la parola. Ciò vuol dire che noi veicoliamo un senso e un significato più diretti ed efficaci attraverso la comunicazione non verbale, piuttosto che utilizzando quella fatta di belle parole.

Insomma, contano i fatti. E conta molto l'apprendere ad avere consapevolezza del nostro saper comunicare attraverso i comportamenti. Perché, spesso, la parola dice una cosa e i fatti che poniamo in essere lasciano trasparire un'intenzione contraddittoria con quello che andiamo dicendo.

Porre attenzione a tutti gli aspetti della comunicazione prossemica, non verbale, vuol dire imparare a riconoscere i nostri atteggiamenti sbagliati, per modificarli nella relazione interpersonale, ed evitare che le nostre parole entrino in profonda contraddizione con ciò che poi agiamo sul piano delle emozioni e dei comportamenti pratici.

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