Sulla famiglia




Nell’ordinamento giuridico italiano la famiglia è definita come “una società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29-31 della Costituzione). Dove la parola matrimonio indica l’unione, civile e religiosa, di un uomo e di una donna.
Perciò, tutte le altre forme di unione, comprese le convivenze omo ed eterosessuali, e le coppie di fatto con figli, per la legge italiana, non possono essere chiamate famiglie.
Non lo sono, a rigore, nemmeno le cosiddette famiglie “allargate”, costituite da due compagni conviventi, e dai loro rispettivi figli. E nemmeno quelle ammucchiate con genitori, figli, e zii, o nonni, che, spesso, compongono i nuclei attuali, in cui si trovano a convivere, per più o meno tempo, parecchi gruppi di persone (separati, divorziati o vedovi), con i figli della precedente unione, e altri parenti.
La legge italiana non riconosce l’unione matrimoniale per coppie dello stesso sesso. Né, tanto meno, ammette la possibilità che dette coppie possano adottare bambini.
Abbiamo aperto in classe questa discussione, e i giovani mi sembrano, a parole, molto schierati dalla parte della Costituzione e della legge. Solo alcuni ritengono che non ci sia nulla di male nell’accettare un’idea di famiglia che si discosti da quella consueta e ritenuta normale nel nostro paese.
I credenti hanno, poi, dei motivi in più per rifiutare un modello familiare che non sia quello della tradizione religiosa del cattolicesimo. Il modello tradizionale di famiglia viene confermato dalla Chiesa Cattolica nella relazione finale scritta dai vescovi, nel corso del recente Sinodo.
La famiglia cattolica è costituita da coppie eterosessuali, con figli. La coppia omosessuale non rientra nei canoni della famiglia naturale, pertanto viene ribadito con forza il no ai matrimoni gay.
Qualche apertura la Chiesa la pone in essere per le coppie eterosessuali, di fatto, nelle quali ritiene importante valorizzare i segni dell’amore reciproco dei partner; e per le coppie di divorziati risposati, che possono prendere i sacramenti a discrezione del parroco, o del confessore.
Ad ogni modo, le opinioni personali possono essere tutte più o meno condivisibili. Quei pochi che credono nella possibilità delle famiglie costituite da coppie omosessuali, sono, spesso, a favore dell’adozione perché immaginano che, per chi è abbandonato in una casa famiglia, qualsiasi nucleo familiare, dove ci siano affetto e amore, sia più agevolmente proponibile rispetto alla triste realtà dalla quale proviene.
Ci siamo però poi posti la domanda se il padre e la madre non abbiano, nella psicologia evolutiva del bambino, e poi dell’adolescente, e del giovane adulto, un ruolo indispensabile, segnato dalla reciproca differenza, e se non sia proprio questa diversità tra i due sessi la base che fonda e costituisce quel presupposto “naturale” e biologico della coppia eterosessuale, che la rende preferibile ad ogni altro tipo di unione, o di modello comunitario, per assicurare un luogo armonioso di crescita e di sviluppo, a chi chiede di avere una famiglia, dove poter vivere serenamente.
Sappiamo bene che pur garantendo questo tipo di collocazione ad un minore, non gli stiamo assicurando la felicità. Perché non di rado, oggi, le coppie eterosessuali sono divise e lacerate da conflitti esistenziali e relazionali, che le fanno diventare un potenziale luogo di scontro privilegiato, da cui l’adolescente non vede l’ora di fuggire, per ricreare quella dimensione propria di equilibrio affettivo, magari con il proprio partner.
Quello che ci chiedevamo era, perciò, se nella psicologia maschile e femminile non ci fossero le premesse ancestrali di una differenza sociale, e se queste diversità non fossero indispensabili al processo evolutivo del bambino.
Perché lo spartiacque tra i sostenitori della famiglia tradizionale e della teoria gender, è proprio questo.
Per i sostenitori della Teoria Gender, il sesso sarebbe solo una costruzione sociale. Vivere “da maschio” o “da femmina” non corrisponderebbe più a un dato biologico ma ad una costrizione culturale. L’identità sessuata, cioè essere uomini e donne, viene sostituita dall’identità di genere (“sentirsi” tali, a prescindere dal dato biologico). E si può variare a piacimento, anche mantenendo immutato il dato biologico.
I sostenitori della famiglia “naturale” ritengono, invece, che le differenze di genere siano non solo di tipo sessuale, ma anche di carattere sociale. Che maschi e femmine, in sostanza, non siano differenti solo ed unicamente con riferimento alla sfera sessuale della loro genitalità, ma che queste differenze siano anche fondamentali, perché stanno ad indicare una diversità nei comportamenti individuali e sociali.
Uomo e donna sono diversi non soltanto relativamente alla sessualità genitale, ma per il fatto che costituiscono, in realtà, due universi distinti, che cercano, nella coppia eterosessuale, un arricchimento reciproco, un completamento, nella differenza. Questa naturale varietà e ricchezza, costituita dalla disomogeneità reciproca tra i due sessi, crea l’armonia della famiglia eterosessuale, nella quale sia i bambini che le bambine possono trovare il loro nucleo ideale per crescere e sviluppare, armonicamente, tutte le loro potenzialità, maschili e femminili, esprimendo anche inclinazioni e passioni, naturalmente orientate dai loro rispettivi temperamenti, che l’educazione di un papà e di una mamma dovrebbero garantire e assicurare, nel loro assoluto rispetto reciproco.
La psicoanalisi di Freud, sebbene ormai sia molto spesso ritenuta superata, rimane un fondamento della psicologia dell’età evolutiva, e determina il presupposto di questa naturale differenza tra i sessi. Per Freud, la sessualità di un essere umano non si manifesta solo nel suo rapportarsi sessualmente all’altro, ma si esplicita di continuo, negli atteggiamenti, nei comportamenti, nelle idee, e nel modo di manifestarle. E il generale orientamento nei confronti della vita è strettamente connesso e dipendente dalla sessualità maschile e femminile, che hanno tipiche, e differenti, forme rituali, ed una sensibilità del tutto diversa.
A Freud si ispira, poi, nel Novecento, lo psichiatra francese Lacan, che rimodulando il complesso di Edipo sulla figura paterna, sostiene che il padre rappresenta il divieto e la Legge, che formano il Desiderio. Senza desiderio non c’è vita. Ma senza il padre non esiste desiderio. E la figura materna rafforza questo desiderio della vita, superando anche i limiti imposti dalla ferrea applicazione della Legge, senza cuore né sentimento.
Uno psicoanalista italiano, nostro contemporaneo, Massimo Recalcati, ha ripreso, nei suoi studi Lacan, e sostiene, con l’espressione adoperata dal filosofo francese, la tesi dell’evaporazione del padre, nell’ipermodernità.
A questa tragica scomparsa della figura paterna, per Recalcati corrisponde anche la fine del desiderio e dell’ideale, dopo di cui resta solo il nulla, il vuoto assoluto di tutti i valori, il deserto di senso, per dirla con le parole di Heidegger.
Recalcati si occupa di tracciare questo profilo del post-contemporaneo nel suo libro Cosa resta del Padre? Pubblicato nel 2011. In questo lavoro Recalcati sostiene soprattutto il ruolo simbolico dell’interdizione paterna, che castra il desiderio del figlio per la sua propria madre, e allontana la madre dal figlio, per consentire una relazione più sana ed equilibrata tra i due, permettendo al figlio di orientare il suo desiderio secondo la Legge, e rimandando il piacere. Questo insostituibile ruolo del padre è, per lo psicoanalista, fondamentale per la costruzione della personalità del figlio, e apre nuovi orizzonti alla di lui vita, permettendogli un sano distacco dalla famiglia, per aprirsi al mondo sociale delle relazioni umane. Ruolo simbolico che struttura e orienta, e che non sarebbe assolutamente rappresentabile da una figura femminile materna.
Segue, nel 2013, Il Complesso di Telemaco. In questo lavoro, il Recalcati sostiene che ci sono differenti tipologie di figli, che corrispondono al complesso di Edipo, e dell’anti-Edipo; al complesso di Narciso, e al complesso di Telemaco. Edipo ha bisogno di uccidere il padre per realizzare se stesso e il suo proprio desiderio; l’anti-Edipo vivacchia beato alle spalle della fatica del padre, e non immagina proprio un futuro che sia per lui; Narciso si gloria delle doti del suo bel fisico, e della sua presenza, che incarna l’eterna giovinezza del padre-amico, che solleva da ogni responsabilità il novello Peter Pan. Solo Telemaco aspetta il padre, scrutando l’orizzonte, in attesa che il mare gli riporti indietro qualcosa. Per lo psicoanalista lacaniano, l’epoca ipermoderna è anche il tempo della nostalgia del padre, e dei grandi ideali, spazzati via dalla morte di Dio, avrebbe detto Nietzsche. E così Telemaco guarda il mare, aspettando che qualcosa ritorni da lì. Dopo aver ucciso il padre, e dopo avergli vissuto sopra, e aver preteso da lui l’eterna giovinezza, viviamo l’epoca dell’assenza del padre, della sua evaporazione. E, perciò, della nostalgia di lui. Recalcati scrive che il genitore è il padre biologico, ma padre può essere chiunque sia capace di trasmettere una testimonianza, che abbia il valore dell’eredità. Egli ricorda sua madre, quando lo invitava a studiare, a non abbandonare la scuola, perché solo gli studi gli avrebbero potuto riservare la scoperta di mondi insospettati, di orizzonti plurimi e più ampi. E ricorda la testimonianza del padre, che curava le foglie delle piante, una per una. E conclude, dicendo, che quelle parole, e quell’esempio lo hanno scavato dentro, riportandolo a scuola, in un momento in cui credeva proprio di avere definitivamente chiuso con essa; e facendogli fare la professione di curatore delle anime, di quelle foglie sradicate, che si staccano dall’albero e sono in procinto di cadere morendo, senza sostegno vitale.
Al maggio del 2015 risale, poi, l’ultimo libro di Recalcati, in ordine di tempo, che prende a cuore le sorti della famiglia. Il suo lavoro si intitola Le Mani della Madre, e vuole tracciare un profilo delle madri, e dei loro compiti nei confronti dei figli.
La madre viene qui rappresentata a partire dalle mani che salvano la vita, che la trattengono disperatamente, anche quando essa è appesa ad un filo. Perché quella vita è preziosa e unica, e non può andare persa. Ma la madre è la sola persona che scorge nel figlio quella insostituibile unicità. Ella è capace di riconoscere il suo frutto tra mille frutti diversi. E si oppone a chi le vuol far credere che suo figlio sia un altro qualunque, accettando persino di essere dichiarata pazza, per la società. Perché la madre cerca quell’unicità, che rende la vita di ogni essere umano insostituibile. La madre è anche colei che guarda il figlio. E che può riconoscerlo tra tutti a partire da quel primo sguardo, con il quale ella ama il figlio, mentre lo allatta, tenendolo al seno. Ella è rappresentata attraverso le sue mani, il suo sguardo, il suo seno che nutre, alimentando, la vita. Ciò che la madre diventa, nel corso degli anni, è qualcosa che si dematerializza, che si fa più spirito, e meno carne, nel segno che ogni madre sa imprimere nel proprio figlio. La madre è quel desiderio della vita stessa, che si fa amore e passione per l’esistenza, e dono gratuito, nel sorreggere il figlio, già pronto ad andare via da lei, per volare altrove. Ci sono, però, delle tipologie materne, che rientrano nelle trame della patologia della madre, che non riescono a portare a termine questa liberazione dell’essere umano, nel figlio. E sono la madre coccodrillo, chioccia o piovra, che dir si voglia; e la madre narcisistica. La prima tipologia di madre è afflitta dal complesso di Medea che, dopo aver scoperto il tradimento del marito Giasone, uccide i figli, frutto di quell’amore che vorrebbe cancellare. Si tratta della madre chioccia, che vive solo ed unicamente per i suoi figli; che ha distrutto la donna in nome di un distorto concetto della madre, e che soffoca i suoi figli, con un amore fatto di possessività ed egoismo assoluti. Si contrappone a questo modello, quello della madre narcisistica, che decide di sopprimere il sentimento materno, e la stessa maternità, che vive come una gabbia asfittica che le impedisce di realizzare se stessa, per un malinteso sentimento della donna, che necessita di emergere e di crescere sopra la madre, soffocandola. Sono queste le madri assenti, indifferenti, non interessate al vissuto dei figli, che delegano alla loro funzione educativa, perché interessate ad esprimere se stesse attraverso la cultura, l’arte, la scienza. Spesso sono donne frigide ed algide, dal punto di vista sentimentale, incapaci di rappresentare un’emozione materna se non facendola divergere dal contesto della famiglia, e dell’attenzione primaria ai figli.
Tornando a parlare del concetto di famiglia, tradizionalmente intesa, è il caso di ricordare che lo stesso filosofo Aristotele, nell’antichità, si richiamava già ad un’idea di famiglia mononucleare, composta da figli e genitori, cui assoggettava il patrimonio, inteso come l’insieme dei beni di famiglia, la ricchezza di una famiglia, generalmente amministrata dal padre. Pur essendo maschilista, perché riteneva le donne inferiori agli uomini, e a loro sottomesse, Aristotele credeva che i figli dovessero obbedire ai genitori, e rispettarli, perché alla madre e al padre corrispondeva un ruolo ben preciso e diverso, che ciascuno, nell’unità familiare doveva imparare ad incarnare, diventando, a sua volta, genitore. Un pensiero molto diverso da quello di Platone, che parlava di comunanza di donne e beni dello stato. E molto più vicino a quello di pensatori come Hegel e Mazzini, per il quale, addirittura, un buon padre di famiglia era, di fatto, ritenuto anche un onesto cittadino. Mentre non si poteva affermare con certezza il contrario.
Anche il filosofo contemporaneo Diego Fusaro si è recentemente occupato del problema, in un suo articolo, nel quale ha sottolineato la differenza tra gender e famiglia tradizionale, rifiutando la sostituzione delle figure di madre e di padre con quelle di genitore 1 e 2, in quanto sintomo di una disumanizzazione dell’essere della persona.
La famiglia, da sempre, e non solo nel mondo religioso, ma anche in quello laico, dei pensatori, filosofi e psicoanalisti di ogni tempo, e nella Costituzione, e dalla Legge dello Stato Italiano, è ritenuta una comunità “naturale” di due persone, uomo e donna, che si amano, e che decidono di procreare in nome di quello stesso amore che li unisce. Nonostante tutti gli scossoni che ha subito nel tempo, essa rimane un istituto di formazione sociale primaria, indispensabile alla crescita e all’evoluzione dell’essere umano. Ricordiamo, a questo proposito, per i credenti, la prospettiva che ci propone il testo di Pino Pellegrino Perché la Famiglia? Quale Famiglia?
La famiglia è un’istituzione che rappresenta il fondamento primo dello stesso stato, oltre che della società civile. E corrisponde al diritto naturale alla paternità e alla maternità, da parte dei genitori, ma soprattutto da parte degli stessi figli, a riconoscersi in un padre, che li ha generati ed educati, e in una madre, che li ha portati in grembo nove mesi, e li ha poi aiutati a crescere, diventando uomini e donne.
Preservare la già tanto dissestata struttura della famiglia, duramente messa alla prova dalla legge sull’aborto e da quella sul divorzio, dalla dissacrazione del suo istituto che la teoria gender non le vorrebbe risparmiare, significa difendere l’immenso patrimonio umano, educativo e formativo che in essa si coltiva, dalla notte dei tempi.

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