Dialettica dei distinti e pudico mistero del sapere




Tutti sono tutto, conoscono tutto, sanno tutto. Il cancro del nostro tempo è la tuttologia elevata a massimo sistema.

Il mondo virtuale, e i numerosi network ai quali ci si può iscrivere con un solo click, rappresentano l’esplosione di un fenomeno sociale, del quale testimoniano solo la faglia emergente, la punta dell’iceberg.

Aveva ragione Croce, neoidealista italiano, con la sua dialettica dei distinti. Il tutto non è la somma delle parti, e nemmeno l’indistinto nel quale ogni cosa si mescola. Non è “la notte in cui tutte la vacche sono nere”, come diceva Hegel della sintesi dell’assoluto di Schelling.

Aveva ragione Croce. Ma Croce nessun lo insegna più. A scuola è, praticamente, dimenticato. Sepolto sotto la polvere dell’oblìo della memoria. Ma forse non è un caso la dimenticanza dei distinti. Perché tutto deve essere uguale a tutto. Le distinzioni sono pericolose, creano argini, muri, separazioni, che la civiltà democratica, dei diritti civili, vuole abbattere. Vento contrario, perciò, sulla dialettica dei distinti. Laddove, il sapere filosofico è proprio tale quando è critico, quando soccorre nelle differenze, aiutando ad operare le legittime distinzioni. Perché non ogni cosa è uguale all’altra.

Ciò che, invece, accade oggi è proprio questa mescolanza, in cui si crea un solo magma indefinibile, nel quale si smarriscono tutte le distinzioni. Tutti possono parlare di tutto. E la democrazia viene confusa con la superficialità e l’approssimazione, che non necessitano di conoscenza approfondita, di studio, di riflessione, ma basta avere internet, perché tanto lì c’è il mondo, a portata di mano. Nello spazio di un click.

Se fosse così semplice sapere, potremmo chiudere le scuole, abolire il valore legale dei titoli di studio. Uniformare tutti omologando dati e informazioni, perché tanto, tutto si trova online.

Ma la conoscenza, la cultura, non possono essere ridotte semplicisticamente ad una somma di dati da imparare a memoria. Non sono un data base dello scibile umano.

Sapere non vuol dire immagazzinare informazioni asettiche. Ma riflettere, ponderare, pensare, immaginare un problema, a livello mentale, per poterne “vedere” la soluzione in qualche via che sia razionalmente orientata.

L’uomo colto è il saggio di cui parlava Socrate, che sa di non sapere; è colui il quale si ferma ad ascoltare la voce interiore del demone, che invita a riflettere, prima di agire. Colui che sa dialogare, mettendosi in discussione, anche cambiando opinione e parere.

Contrariamente all’odierna presunzione di sapere, il saggio era, per gli antichi, chi era conscio della sua stessa ignoranza. E che, perciò, si poneva di fronte alla realtà delle cose con un atteggiamento mite, umile, scevro da pregiudizi, nel tentativo di accogliere il mondo, per imparare a stare al mondo. Recependo lo stupore, la meraviglia della realtà, che resta difficile, spesso, da spiegare.

Il mistero. Ecco la chiave del sapere. E la conoscenza era un continuo varcare le colonne di Ercole del pensiero, e dell’immaginazione euristica.

Oggi il mistero è scomparso. Non può e non deve esistere più. Perché l’uomo deve conoscere tutto come se fosse lui stesso Dio.

Il sapere ha perso quell’aura di sacralità, che non lo rendeva accessibile a chiunque, ed è diventato “spendibile”, “utile”, “pratico”. E si crede che, con queste aggettivazioni, si voglia intendere, anche, “democratico”. Senza rendersi conto che questa eccessiva apertura della conoscenza a tutti, anche a quelli che ne sono obiettivamente ignoranti, ha svilito il senso più profondo del sapere, che è sempre un avventurarsi per sentieri oscuri, dove non tutto è certo. Dove non tutti possono sapere tutto.

Invece oggi tutti pretendono di parlare di tutto, presumono di sapere tutto, credono di conoscere tutto. E si è smarrito il senso della distinzione, che permette di vedere le cose chiaramente. E in questa manìa della tuttologia ad ogni costo, si è perso il significato più vero del sapere. E ogni cosa è confusa a tutto, avvolta nelle oscure nubi della nebbia ignorante e supponente.

Senza più alcun mistero. Senza nessun pudore.

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