Il silenzio di Dio




Abbiamo commemorato come tutti gli anni la Shoah, ricordando l’Olocausto e il genocidio degli Ebrei. Quella del 27 gennaio del 1945 è ritenuta una data di grande rilevanza storica, perché la memoria non deve spegnersi su una giornata così epocale, in cui si aprirono finalmente i cancelli di Auschwitz per liberare tutti i prigionieri sopravvissuti allo sterminio con camere a gas e forni crematori. Prima di allora, e dopo, nessun evento ha mai segnato tanto profondamente la vita dei popoli e delle nazioni del mondo con crudeltà così efferate come quelle che si sono dovute sopportare e registrare nei campi di lavoro forzato, di concentramento e di sterminio, in Polonia, Austria e Germania. Lì si attuò la soluzione finale, che dette poi origine al più vergognoso crimine della storia contro l’umanità. Auschwitz però costringe a pensare e a riflettere sul ruolo di Dio. Il Dio cattolico che vuole il bene per i suoi figli e fratelli. Lo stesso Dio che rimase in silenzio, permettendo che tutto quello che ha rappresentato lo sterminio di massa accadesse senza colpo ferire. Come può il Dio dell’amore e del perdono, Colui che ama fino alla morte di croce, condannare i suoi stessi figli a sofferenze così atroci? Come fa a rimanere impassibile davanti alla più grande ingiustizia? Molti miscredenti hanno considerato quell’evento illuminante per rimarcare il disinteresse di Dio per l’Umanità, o per negarne semplicemente l’esistenza. Se Dio fosse esistito davvero non avrebbe potuto permettere l’Olocausto. Anche Papa Benedetto XVI si è posto l’interrogativo, lecito per ogni uomo, doveroso per un sacerdote che sia anche il rappresentante di Cristo sulla terra. Ratzinger parla del silenzio di Dio, come ne aveva già scritto Han Jonas nel Concetto di Dio dopo Auschwitz. Ma esiste con Jonas una differenza notevole nelle conclusioni. Quest’ultimo propende per un Dio debole, che non ha potuto salvare se stesso sulla croce, e non ha avuto la forza di liberare un’intera razza dallo sterminio. Jonas ripropone l’immagine del Dio impotente, che vuole ma non può. In qualche modo il filosofo ha le sue ragioni. Sarebbe troppo comodo pensare ad un Dio prestigiatore che modifica la realtà a suo piacimento ricomponendo gli errori dell’umanità. Ma quale posto avrebbe in tutto questo l’uomo? Sarebbe davvero un essere libero? Capace di scegliere? Non credo proprio, così come non penso che quegli stessi scettici che pretenderebbero da Dio un continuo intervento risolutore delle loro questioni più o meno gravi vorrebbero davvero per loro stessi una tale privazione di iniziativa e di scelta. Ma comprendo anche che come argomento, questo del silenzio di Dio, può essere molto comodo per sostenere ciò che vogliono. Si può dir tutto, in effetti. Che Dio non esiste o che si disinteressa del mondo come sostenevano Epicuro, Pascal, e molti altri. Di ben altra levatura è la soluzione di Ratzinger, il quale non pretende di decidere delle qualità di Dio, di fronte allo sterminio di Auschwitz, quanto piuttosto si pone il problema di quale sia davanti a quel drammatico silenzio la scelta doverosa del credente. Egli è lì, dove prima di lui è stato il suo predecessore, Papa Giovanni Paolo II, un polacco. E mentre riflette ricorda che sono morti sei milioni di Polacchi e sei milioni di Ebrei in quei lager. E che quel Papa polacco ha dovuto provare chissà quale emozione in quel campo. Proprio come lui ora prova un grande disagio. Ma il silenzio di Dio nemmeno Papa Benedetto se lo sa spiegare. Egli sa solo che può continuare ad affidarsi, in un atto di totale abbandono e di fede, al suo Signore, confidando in Lui. Il Signore della storia che ha lasciato decidere all’uomo, al peccatore, all’assassino. Ma che lasciando decidere ha amato fino in fondo l’uomo, rispettando la natura dell’umanità che ha scelto di condannarlo alla croce. E dalla croce si deve ripartire. Perché sulla croce come ad Auschwitz si è reso visibile il tremendum, che è insieme l’immensa potenza di Dio e l’estremo male di cui sono capaci gli uomini senza Dio. Cohen al silenzio di Dio aggiunge difatti proprio quel tremendum, che il gran fenomenologo tedesco della religione Rudolf Otto pose in rilievo per magnificare l’aspetto dell’immensità del Dio biblico, e che, nella lettura che ne fa il nostro teologo nell’omonima opera diviene sintomo della grandezza infinita di tutte le storie che si fanno evento indimenticabile, nel bene e nel male assoluto. E come Dio esprime il tremendum positivo, Auschwitz è stato l’espressione della sua negatività totale ed irreversibile. In “Dove era Dio?” di Benedetto XVI sono raccolte le testimonianze di un sopravvissuto, il diplomatico Bartoszewski. Non sono affatto diverse da tutte quelle degli altri fortunati, che si ritengono in qualche modo dei miracolati, e che raccontano di come molti venissero immediatamente condotti ai forni crematori o nelle camere a gas appena giunti al campo senza avere nemmeno la possibilità di rendersi conto di cosa stesse avvenendo durante la deportazione. Metz, un altro teologo che interviene sulla questione, ritiene che il cattolicesimo, dopo Auschwitz, non possa non porsi il problema del silenzio, o dell’assenza, di Dio. E che comunque dopo Auschwitz non sia possibile non fare i conti con una realtà che sconvolge, apparentemente, tutta la fede dottrinaria con il suo precedente impianto logico. Dio vuole il bene, ma lascia libero l’uomo, anche nel peccato. E si astiene dall’intervenire se la scelta dell’uomo si orienta verso il male. Anche se il male è il peggior crimine contro l’uomo mai commesso prima di allora. Perché Dio non è un giocoliere o un prestigiatore. Ma un padre amorevole che soffre, e che il suo stesso amore ha reso impotente e debole di fronte all’umanità. Dio, in qualche modo, soggiace all’uomo, nel suo estremo bisogno dell’uomo e del suo stesso amore. Io personalmente credo che ci siano due possibili strade interpretative del silenzio e dell’assenza di Dio. La prima potrebbe essere legata ad una visione cinica di Dio che ha visto soffrire il proprio Figlio sulla croce, morto solo come un cane, e condannato per volontà del suo stesso popolo, che non ha fatto niente per salvarlo, ma che anzi gli ha preferito un ladrone. Dio è rimasto in silenzio, ma ha poi scelto la strada della vendetta, secondo la stessa idea degli antisemiti nazisti, per i quali gli Ebrei dovevano essere puniti in seguito al loro peccato. La creatura che ha ucciso il suo Creatore muore come Lui tra atroci sofferenze. E il prezzo del deicidio deve essere pagato dall’intera genia. Dio pertanto concorda e tace. Ma questo Dio sarebbe terribile. E la sua punizione sembra enorme. Propendiamo, dunque, per la seconda possibilità. E ci rassereniamo pensando che Dio è lì, ad Auschwitz. Soffre con l’uomo, e muore con l’ebreo, con lo slavo, con il polacco, con il russo, con il testimone di Geova, con il disabile, con l’omosessuale, con il prete, con il comunista, con il dissidente politico, con il delinquente comune, con lo zingaro, con il rom, con il sinti. Condannato ancora una volta dall’uomo che uccide se stesso e che si auto annienta, punendosi per l’efferato deicidio, e illudendosi di lavare così il senso di colpa collettivo dell’umanità, attraverso l’orrido e l'orrendo delle proprie paure e insicurezze. Ecco spiegato il silenzio di Dio. Il Dio debole e impotente, che non può far nulla per salvare se stesso, e muore per la seconda volta, con le sue creature. Con chi viene deportato e ucciso. Ma anche con chi uccide. Perché la storia, da quel momento, non sarà mai più la stessa di prima.

Antonietta Pistone

Nota bibliografica
Per questo articolo si rimanda alle letture di seguito:

1. Benedetto XVI, Dove era Dio? Il discorso di Auschwitz
2. Buber, Il Principio Dialogico
3. P. Curtaz, L’Ultimo sì
4. A. Frank, Il Diario
5. L. Giussani, Scritti sull’Educazione
6. H. Jonas, Il Concetto di Dio dopo Auschwitz
7. P. Levi, Se questo è un uomo
8. B. Pascal, I Pensieri 

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