Cosa resterà di me?
Cosa Resterà di Me, con il punto
interrogativo, è il primo libro pubblicato da Maurizio Bevilacqua, scrittore
foggiano agli esordi. Il suo testo, edito per il Gruppo Editoriale L’Espresso,
è intriso di riflessioni orientaleggianti, tipiche della filosofia Buddhista.
L’autore si rivolge al grande pubblico dei non addetti ai lavori, esplicitando
anche alcune considerazioni personali, sulla vita e sulla morte, sul potere del
denaro, sulla vacuità dell’Essere e degli esseri. Maurizio Bevilacqua, di
professione bancario, pratica da molti anni la meditazione di gruppo, e
approfondisce le tematiche di certe suggestioni religiose, che egli sente ormai
come proprie. Nel suo lavoro emerge costantemente, come filo conduttore, il
senso di inanità della vita, unitamente alla vanità del tutto. Perché tutto è
destinato a finire, a passare, a risolversi dall’essere al nulla, e nessuno può
cambiare le cose. Il titolo assume, allora, un significato filosofico ben
preciso, che è nel voler rappresentare una domanda retorica, alla quale, non
potendo opporre un cambiamento reale, nello stato di fatto, si tenta di offrire
una soluzione esistenziale. Resta di noi un figlio, ciò che abbiamo
concretamente realizzato e fatto, il nostro ricordo in chi ci ha amato, o ciò
che, in qualche modo, abbiamo reso indelebile, scrivendolo nelle pagine di un
libro, che ci conservi ai posteri, a futura memoria. E Maurizio Bevilacqua
sceglie la scrittura come mezzo per affermare se stesso, per dire al mondo “ci
sono anche io” e per poter dire un domani “ci sono stato”. D’altra parte,
ossessione dell’oggi che si eternizza nella storia dell’uomo, è proprio questo
bisogno di immortalità che ciascuno sente come impellente necessità per
affermare se stesso, e per poter credere di non dover finire del tutto nella
morte, come se nulla fosse mai stato. Bisogno che appartiene all’umanità di
ciascuno, che si affida alla religione, tecnica di rassicurazione, o si dedica
alla musica, all’arte, alla poesia e alla scrittura, per lasciare di sé un
tratto a conferma di essere esistito, di aver fatto parte di questo mondo così
negletto e denigrato, ma tanto difficile da allontanare definitivamente da sé.
A questo proposito, Bevilacqua ci ricorda nel testo che per i Buddhisti è
necessario praticare il distacco dalle cose del mondo, percepite solo come
transeunti e mai come assolute, perché solo Dio, se esiste, può essere
l’Assoluto. Ciò che, prima di tutto, è necessario contrastare, è l’attaccamento
alle cose del mondo. Nelle pagine del suo libro, emerge perciò, con forza,
questo continuo sentimento nostalgico di essere distaccati dal tutto;
sentimento che si fa ancora più doloroso e aspro nel confronto con Dio, il solo
che tutto sa e può, l’unico che è e sarà in eterno, perché è sempre stato
dall’inizio e prima di ogni tempo. Il paragone è schiacciante per l’uomo, che è
costretto a misurarsi con l’immensità infinita di grandezze che non riesce
nemmeno ad intuire con il potere immaginativo della sua mente. A chi esiste,
senza essere, rimane solo la presa d’atto dell’indifferenza di ogni suo gesto,
di ogni azione, per quanto grande possa essere ritenuta dal consorzio umano.
L’inutilità della storia, così intrisa di dolore e di sangue, richiama allora
al senso della fraternità. Al sentirsi tutti parte di un solo grande essere che
è la terra, madre accogliente di quegli eventi di dolore, ma anche altrettanto
matrigna indifferente ed impotente davanti alle vicende umane. Sembra di
ritrovare qui le suggestioni della filosofia di Schopenhauer, con la sua
compassione ed i suoi rimedi contro il dolore inevitabile dell’esistenza. Ma anche
si ritrova il male di vivere di Eugenio Montale, poeta capace di esternare i
sentimenti e l’emotività di un secolo di distruzione e di guerre, di cui ancora
oggi portiamo indelebili i segni nella nostra memoria storica. Quella stessa
storia che per molti filosofi del Novecento, non ha un senso compiuto e pieno,
se non nella sua tormentata irrazionalità. Un piccolo, grande libro, questo di
Maurizio Bevilacqua, che scrive per aforismi, al quale ha già fatto seguito una
seconda pubblicazione, intitolata Il testo Zero. Qui l’autore si lascia andare
a riflessioni più personali, scritte nella forma di un diario di bordo della
sua stessa vita, nella quale, come in quella di tutti gli esseri umani, ogni
più piccolo, ed apparentemente insignificante, momento della giornata, diventa
un motivo in più per riflettere e filosofare. Non come fanno i dotti
professoroni dell’accademia, ma come il semplice uomo della strada, quello dal
quale Socrate, nel suo ciarlare in piazza con gli avventori, ha dato inizio e
spunto per ogni filosofia.
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