Ciao...e poi?
Sempre più mi trovo ad accostare la
psicologia (che pure apprezzo tanto) alla pedagogia, oggi chiamata anche
scienza dell'educazione. Entrambe, nel mio personalissimo giudizio, sono utili
nel fare diagnosi. Mostrano, invece, la loro fragilità quando pretendono di
confezionare ricette che spieghino agli altri come vivere. La psicologia vuole
insegnare ad essere felici, la pedagogia impone metodi educativi
"efficaci". Né l'una scienza, né l'altra sono infallibili. E
scoprono, facendole proprie, le stesse debolezze di quel sistema sociale di
regole, che dovrebbero piuttosto contrastare. Una forma tipica di americanata.
Nessuno può dire ad un altro come deve vivere. Questa imposizione non può
essere esercitata né da un genitore, né da un insegnante, e nemmeno da un
terapeuta. Quando uno di questi soggetti si prova a farlo, la psicologia e la
pedagogia, sono inutili e, oserei dire, dannose. Perché dal momento diagnostico
passano a quello terapeutico indicando sentieri da percorrere. Laddove
dovrebbero lasciare libertà di scelta e di autodeterminazione. Da questo punto
di vista il testo di Eric Berne Ciao...e poi? che sto leggendo, ha i suoi
limiti. Quando compie, e lo fa spesso, questo salto improprio, dalla diagnosi
alla terapia, attraverso un comportamento imposto. Ad esempio, Berne dà per
certo che sia sempre necessario modificare il copione dei genitori, cambiando
radicalmente le loro aspettative sui figli. Così, ad un copione tipico di
figlio ubbidiente, educato e rispettoso dei suoi doveri (anche di studio)
sostituisce un copione da figlio dei fiori, che in nome di una libertà
presunta, ma non meglio definita, finisce col rigettare in toto il modello
educativo genitoriale. E lo fa perché, nello schema psichico di Berne, l'educazione
plasma le menti "programmando" il presente e il futuro di ogni
giovane adulto sin dalla sua infanzia. Ma dove è finita la libertà dell'essere
umano in questa concezione filosofica della persona, che appare un umanoide,
appena di poco superiore ad un robot fatto di microchip e di ferraglia? Gli
stati dell'io, poi, ripercorrono, riprendendola, la seconda topica di Freud,
che divide la psiche in io (la componente razionale adulta), super io (la
censura genitoriale), ed es (l'inconscio ancestrale alla continua ricerca del
piacere, tipico del bambino). Trovo interessante, invece, lo studio e l'analisi
dei copioni. Ma mi ha colpito, in modo particolare, la frase "per fare una
signora si deve cominciare dalla nonna" che sottolinea l'importanza delle
figure parentali e il loro ruolo non secondario rispetto alle figure
genitoriali. Ciò rappresenta una possibilità di salvezza. Perché dà al figlio
dell'alcolizzato, della prostituta, o del galeotto, la possibilità di sperare
di poter cambiare il cliché della sua vita. L'analisi di Berne, ad ogni modo,
rimane "fissa" sulle figure parentali, attribuendo scarsa, o nulla,
importanza al ruolo che giocano le esperienze di vita, insieme alle influenze
sociali ed affettive "esterne" al nucleo ristretto della cerchia
familiare, che il terapeuta fa coincidere, peraltro, con quella, ancora più
limitata, dell'influenza genitoriale. Un'analisi suggestiva, insomma, ma da
prendere con le dovute cautele. E che non va, in alcun modo, assolutizzata.
Utile quando, come analisi transazionale, spiega le interazioni dialogiche tra
soggetti adulti che si parlano, e che comunicano tra loro, mettendo in moto i
diversi stati dell'io (Genitore, Adulto, Bambino) facendoli "passare"
nell'altro, attraverso la comunicazione. Importante da comprendere e da
studiare per l'accento posto sulle dinamiche del dialogo e della comunicazione
tra soggetti parlanti in una comunità di parlanti. Dove la parola è tutto: base
e fondamento dell'interazione sociale. Diventando espressione e complemento
dell'azione umana. Mi ricorda quel noto detto "le parole sono
pietre", che ci colpiscono mentre le scagliamo contro altri. Essere e
divenire consapevoli di ciò può contribuire a formare nuove generazioni più
attente al modo in cui si parlano. Avvezze ad usare le parole per accarezzare e
proteggere, piuttosto che per ferire ed annientare distruggendo. Analisi
pericolosa, però, quella di Berne, laddove pretende di poter prevedere
complessivamente il futuro di ogni essere umano, tarandolo, quasi
esclusivamente, sul modello a lui offerto dal genitore del suo stesso sesso.
Vale a dire, per ogni donna, "sarò domani come è oggi mia madre".
Inaccettabile. E non soltanto dal punto di vista psicologico. Soprattutto per
chi, come me, pensa "l'ultima cosa che voglio è di assomigliare a mia
madre".
Un commento troppo duro, a mio avviso. Per comprendere meglio le ragioni, l'etica e la teoria alla base dell'opera di Berne é importante tracciare la cornice in cui tutto accadeva... ovvero conoscere la psicoterapia ai tempi in cui Berne iniziò il suo lavoro... Leggendo altri suoi libri si trovano altri elementi chiave. Trattando il modello "io sono ok, tu sei ok" (tema poi ampliato da un'altro autore, Harrys) c'era gente che chiedeva a Berne come potesse, lui, considerare sullo stesso piano "medici" e "pazienti" e lui rispondeva: "Io intanto ringrazio di non aver passato quel che ha passato lui"... Non esistono, a priori, esperienze belle o brutte, ma noi siamo abituati a giudicarle sulla base di quel che producono in ciascun individuo. Berne aveva capito che la psicoterapia tradizionale spesso non "curava" il paziente, ma cercava di aiutarlo a convivere meglio col suo "disturbo"... Il suo intento, almeno per quanto traspare dalla lettura dei sui libri, era quello di fornire un aiuto milgiore... cominciando dall'abbattimento del muro discriminatorio terapeuta/paziente... Gli era chiaro, infatti, che l'unico possibile artefice di cambiamenti della personalità era l'individuo stesso e per ottenere risultati più significativi capì anche che la comunicazione tra un terapeuta e chi gli si rivolge in cerca di aiuto doveva cambiare... La maggior parte dei "disturbi", indicati spesso come infelicità, malessere dell'animo, vengono prodotti dal contrasto che si può creare tra l'essenza dell'individuo (il bambino) e le influenze parentali... indicando come "parentali" tutte quelle esperienze che il bambino percepisce tanto importanti da cambiarlo dentro e non solo quindi indotte dai genitori... Certe volte questi contrasti son talmente forti da produrre una componente (bambino adattato) eccessivamente sviluppata... tale da impedire, all'individuo, il raggiungimento di qualsiasi traguardo...
RispondiEliminaIl discorso non si esaurisce qui, ma é davvero difficile darne, qui, una sintesi soddisfacente... Concludo con una nota personale... anche io ho sempre (sempre) pensato di non voler assomigliare a mio padre... eppure... col passare degli anni... mi accorgo di assomigliargli molto più di quanto potessi anche solo immaginare... il mio percorso nella direzione della comprensione di tutto questo é ancora lungo... buon viaggio a tutti...
Ai tempi di Berne c'era già stato Freud, che aveva trovato metodi alternativi, nella psicoanalisi, alla lobotomia e all'elettroshock, finalizzati solo ed esclusivamente all'internamento in manicomio dei malati mentali gravi, affetti da isteria, depressione e schizofrenia. Berne, con l'analisi transazionale, si occupa dello studio del disagio psichico in forma lieve che, a lungo andare, può, però, diventare invalidante. La sua analisi suggerisce di sostituire il copione genitoriale con quello dell'adulto. Questo lavoro prevede anche la distruzione del modello trasmesso dal padre al figlio. Freud, con le tre istanze psichiche della seconda topica, io-es-super io, non imponeva la soppressione della censura genitoriale, o della ricerca del piacere del bambino (es), quanto, piuttosto, il loro controllo razionale da parte dell'io adulto. La persona sana ed equilibrata è, difatti, quella capace di razionalizzare i divieti, moderando gli eccessi. Ragione e libertà costituiscono un connubio perfetto nella personalità dell'adulto. Il passato non va distrutto, ma va compreso nel presente, perché solo coesistendo consapevolmente con esso si potrà essere liberi di avere un futuro. Con questo non voglio dire che Freud sia migliore di Berne. Solo farti vedere come la stessa dinamica psichica possa avere soluzioni diverse, e alternative. Una cosa ci accomuna in questa riflessione. Il non desiderare di essere o di diventare come i nostri rispettivi genitori maschio e femmina. Ti sei mai chiesto cosa ammiri di tuo padre e cosa ti urta di lui? La risposta potrebbe essere già nella domanda. Spesso non sopportiamo proprio le cose che ci fanno paura, o che temiamo. E proprio per questo, quelle stesse cose necessitano di un'attenzione maggiore. Ciò che non si risolve è sempre lì. Sfuggire, aggirare, rompere, sostituire, distruggere, sono verbi che la psicologia dovrebbe mettere al bando. Perché sono l'anticamera dello smarrimento e della sofferenza. Insomma, quel copione di cui scrive Berne, va compreso ed esaminato criticamente, e con discernimento. Poi, magari, ridiscusso e superato, ma sempre con pacatezza ed equilibrio. La storia fa parte di noi. Non è distruggendola che si edifica il nuovo.
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