Odio liberatorio e mediocrità del male
L’odio è un sentimento pericoloso. Soprattutto quando se ne fa un uso sbagliato, alimentato dal fanatismo.
Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti.
Basti pensare al terrore scatenato nel mondo dall’Isis, e ai due
attentati in Turchia degli ultimi giorni. O all’episodio del tir che si è
schiacciato sulla folla dei mercatini natalizi in una Berlino
sorprendentemente incredula, mentre era intenta nella ricerca del
regalo da mettere sotto l’albero. Questi casi esemplari raccontano di un
odio stupido, cieco e feroce. Diretto contro innocenti, e agito da
folli che interpretano la fede come una guerra santa, che però di santo
non ha nulla.
Ma esiste anche un odio politico, che
interpreta l’oppositore come nemico da abbattere, e da sconfiggere. Come
quello di Stalin che sterminava nei gulag tutti i russi che non erano
in accordo con i suoi programmi di governo. O come quello di Hitler, che
riuscì ad unificare la causa politica con quella economica del popolo
tedesco, per mimetizzarle sotto una parvenza religiosa, nell’olocausto
ebraico più orribile della storia di tutto il Novecento.
Anche questi ultimi due esempi rientrano
nei casi di stupidità umana. E non è detto che gli stupidi possano
nuocere meno delle persone intelligenti. Perché esiste una cattiveria
folle, fatta di piccineria, che risulta estremamente dannosa per il
mondo intero.
Non è necessario andare lontano, nel
tempo e nello spazio, per scorgere l’odio. Tornando al presente, ci si
può soffermare sugli articoli dei giornali che titolano da due giorni la
polemica di De Magistris contro Saviano. La guerra tra poveri è un
altro esempio eclatante di odio stupido. E feroce. Piuttosto che
sentirsi uniti nella lotta alla camorra napoletana, il politico e
l’intellettuale discettano tra loro sui mezzi utilizzati per denunciarla
ed, eventualmente, contrastarla. Facendo la lista della donnetta, sul
“cosa hai fatto tu e cosa ho fatto io” per combattere la mafia.
Ma è precisamente contro questo tipo di
mediocrità del male – banalità, avrebbe detto Hannah Arendt – che, io
ritengo, vada elogiato l’odio buono, che corrisponde a quel sentimento
di rivalsa, e di rivincita, che induce chi subisce a ribellarsi al suo
carnefice. A dire no. A prendere le distanze dalle situazioni,
apparentemente senza uscita, e dalle persone tristi, che fanno male. Che
riescono ad insinuare se stesse, con tutta la loro miseria, nella vita
normale di chi cerca di barcamenarsi, e, d’improvviso, si trova afflitto
dall’invidia, dalla rabbia, dall’aggressività di questi poveri
infelici, che “non sanno fare, non vogliono fare, e non vogliono far
fare” – si dice a Foggia – succhiando l’altrui voglia di vivere, per
ergersi, infine, a vincitori spirituali di una battaglia che nessuno
aveva loro dichiarato, ma che, tuttavia, esisteva unicamente nelle loro
teste.
Ecco, in questo caso l’odio lo ritengo doveroso.
Perché il nemico vero ha la sua dignità, e
deve rappresentare un termine di paragone e di confronto,
nell’esistenza di ciascuno. Il nemico sprona a fare meglio, a spendersi
di più. Motiva e deve essere rispettato, nella sua rappresentazione
ambivalente.
L’odio, invece, è quel sentimento di
evidente repulsione, che permette a chi sta nel giusto – o ritiene di
esserlo – di respingere fermamente le angherie dei malaticci dello
spirito di nietzscheana memoria. Noiosi inoculatori di virus letali
della gioia e della voglia di fare. Paranoici, cronicamente depressi,
impotenti, che vogliono spegnere il sorriso sulla bocca degli altri,
insinuando la chiacchiera, e la maldicenza, perché bramano che tutto il
mondo sia triste e spento, anonimo e livido, come lo sono loro. Poveri
dispensatori di soprusi alle spalle delle loro ignare vittime.
Questi tristi figuri bisogna combatterli,
perché non è giusto soccombere alla morte dello spirito. Perché,
soprattutto, non è doveroso farsi andare sempre tutto bene, continuando a
sorridere. Non necessariamente bisogna dire sì ad ogni costo. Il no, a
volte, può essere risolutivo, dirompente, nuovo e creativo. Perché è
necessario saper scegliere cosa è meglio. Ed imparare ad opporsi a
qualcosa, quando non sia di reale gradimento, e non faccia stare bene.
Al diavolo le etichette, la forma, e la buona educazione. Un vaffa… tante volte risulta essere un vero atto liberatorio.
E liberatorio è l’odio, inteso come sana e
non violenta repulsione, volta ad esprimere una distanza incolmabile,
dove non ci sia spazio per gli inciuci, gli accordi di programma, le
grandi concertazioni. Il compromesso.
Perché col nemico esiste ancora lo spazio
del dialogo, seppure agito attraverso il conflitto. Pensiamo a Giovanni
Falcone che dialogava con i mafiosi pentiti. Erano nemici tra loro, e
si erano dichiarati reciprocamente la guerra. Ma riuscivano a
rispettarsi, persino collaborando. Laddove invece si esercita l’odio
non ce n’è più per nessuno. Perché tra chi non si comprende, pur facendo
lo stesso mestiere, o avendo il medesimo obiettivo in comune, ogni
parola perde di senso e di significato. E in fondo ognuno è libero di
rifiutarlo, il dialogo, scegliendo il silenzio e facendo muro. Ed è il
caso dello stesso Falcone, quando venne osteggiato dagli altri
magistrati, gelosi della progressione della sua carriera, e del suo
successo nella lotta alla mafia.
Il potere di contrastare questa tendenza
invadente dei meschini che “non vogliono far fare” corrisponde al dire
“no” dell’odio espresso come avversione personale, contro certi metodi e
certe persone, ed è nell’assoluta libertà di un io che si afferma
fichtianamente attraverso se stesso, nel momento in cui riesce a negare
la sua opposizione, per dire al mondo “io sono così, se ti vado bene”.
Altrimenti picche. E al diavolo il falso buonismo. Perché non
necessariamente bisogna andare d’accordo con tutti, dirsi buongiorno,
magari anche con un sorriso, fingere di stare bene insieme, andarsi a
prendere un caffè, se proprio non ci si può vedere.
Se il reciproco modo di intendere la vita e l’esistenza si collocano agli opposti emisferi ideali del mondo abitato.
E allora ben vengano l’opposizione,
l’attacco e la resistenza, il muro contro muro, l’evitarsi, e la presa
di distanze. Evviva l’odio buono, che distingue crocianamente, separando
e definendo le differenze, anziché unire ad ogni costo, solo per il
gusto di farlo. Che va contro la tendenza dominante di omologare
indistintamente tutto. Anche l’inaccostabile.
bibliografia:
- Hannah Arendt, La Banalità del Male;
- B. Croce, Estetica;
- Tullio De Mauro, Vocabolario online della lingua italiana (voce: odio);
- Fichte, La Dottrina della Scienza;
- M. Heidegger, Essere e Tempo;
- F. Nietzsche, Così Parlò Zarathustra;
- F. Nietzsche, La genealogia della Morale.
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