Il virtuale pro e contro
Social e nuovi social
Ma sono più i punti a sfavore
Ma sono più i punti a sfavore
Mi va di
fare insieme a voi alcune riflessioni sulla questione odierna relativa
all’incapacità dell’uomo di vivere la sua vita, anche in solitudine, scegliendo
cosa voler fare di se stesso, e cosa, pertanto, aspettarsi dagli altri.
In questa
prospettiva di dipendenza, l’essere umano si frantuma nei vissuti degli altri,
senza tuttavia vivere fino in fondo la sua propria personale esistenza. E
pertanto finisce con l’alienare se stesso nel mezzo virtuale che lo protegge
dietro uno schermo, incapace di vivere la sua vita dal vivo con gli altri.
La
mancanza di reale condivisione induce l’uomo a costruirsi un mondo fantastico,
letterario, e di fantasia, dietro il quale volutamente si trincera, nella
convinzione, poi indotta, che quella sia la sola realtà che valga la pena di
essere vissuta.
I
disturbi mentali della contemporaneità sono, difatti, in massima parte il
prodotto necessario e conseguente di tale abuso della tecnologia virtuale e del
mondo dell’apparenza, in cui ciascun individuo finisce per esistere solo come
immagine, icona, idolo, senza mai essere presente nella storicità dei suoi
vissuti.
Il dramma
del nostro tempo è che questa apparente comunicazione, in un eccesso di
informazioni, determina invece una concreta incapacità di comunicare e di comunicarsi,
per scambiare ciascuno i propri vissuti con quelli dell’altro.
Insomma
nel mondo della realtà virtuale il dialogo socratico viene del tutto
soppiantato dalla scrittura e dall’immagine fotografica, che offre di ognuno la
parte migliore, quella che si intende mostrare, ma non certamente quella più
vicina al reale.
I bambini
del postmoderno vengono educati dalle famiglie, spesso le prime ad essere
grandi consumatrici di televisione, davanti allo schermo, abbandonati nei pochi
tempi morti delle loro programmate attività quotidiane.
Di fatto
i più piccoli vengono sistematicamente lasciati soli di fronte a un mondo di
informazioni che non sono ancora in grado di
decodificare criticamente.
E questo
mondo li surclassa del tutto, mostrando ai loro occhi una realtà patinata che
così non è di fatto, ed illudendo i loro sogni di bambini, o di giovani
adolescenti, che la realtà vera sia solo una questione relativa alla conquista
di spazi di immagine e di apparenza, in cui poter continuare a dire implicitamente
“io esisto”.
Ovvia
rimane la constatazione che il mondo virtuale così abusato deve essere in molti
casi inteso come un’implicita richiesta di aiuto da parte di chi non ha avuto
la fortuna di apprendere dai propri genitori dei validi codici comunicativi ed
espressivi in grado di avvicinare progressivamente agli altri, al di fuori
della mera realtà virtuale.
Il nostro
mondo è caratterizzato dal terrore della solitudine e degli spazi di tempo
libero, non più vissuto come una possibilità per reinventarsi, ma temuto come
una tragedia del vuoto che invade le nostre vite, assai insignificanti e di
poco valore intrinseco.
Così si
finisce per stordire il proprio immaginario con una miriade di impegni
culturali, sportivi, oltre che di lavoro, che sempre con maggiore veemenza
vengono poi riproposti ai nostri figli, trasmettendo loro la falsa convinzione
che bisogna essere costantemente impegnati a
fare qualcosa di costruttivo per tutta la giornata,
limitando quanto più possibile i tempi morti.
Il risultato
che si ottiene è quello di un’infanzia che non sa più cosa sia il gioco, l’attività
ludica con la quale in tempi ormai remoti si cresceva e si maturava nella
convinzione che il gioco fosse una reale attività di apprendimento per il
bambino. Oggi non abbiamo più dei bambini, ma degli adulti forzatamente
precoci, e degli adolescenti disturbati ed incapaci di relazionarsi con gli
altri, perché non hanno appreso nel gioco loro sottratto le regole dello stare
bene insieme. Ed ecco che a questo punto solo il virtuale ci salva dal baratro
della disperazione.
L’apparire
è, però, anche un modo di essere, che non deve necessariamente subire una
demonizzazione. La letteratura è una narrazione attraverso la quale ciascuno
racconta se stesso, ed inventa, anche se necessario, la sua storia, proponendo
la versione più accattivante dei fatti che intende narrare e prospettare agli
altri. In quest’ottica i social network come facebook, twitter, linkedin e
instagram - ma ce ne sono anche altri nuovissimi - facilitano il compito di
sviluppare una potente immaginazione, contribuendo indirettamente a questo
gioco della personalità individuale, attraverso i falsi profili che ognuno può
autonomamente creare per inventarsi nuove identità e fingere, così, di essere
qualcun altro da ciò che in effetti è in realtà.
Il
problema derivante da questo abuso dei mezzi virtuali è che si rischiano nuove
patologie della personalità, infantile e adulta. Immaginare di vivere, per un
tempo limitato, in una situazione irreale può essere, a limite, anche un modo
gradevole per allontanare da sé i vissuti spesso spiacevoli, che fanno parte
inevitabilmente del bagaglio emozionale della vita intima di ciascuno. La
scotomizzazione del dramma psichico ce l’ha insegnata Freud. Pensare però di vivere
la maggior parte del proprio tempo entro una realtà virtuale che sostituisca
l’immaginario alla realtà vera, l’estetica e la letteratura dei vissuti alla
propria concreta esperienza storica, può diventare, al limite, un elemento di
forte pericolosità per il personale equilibrio mentale di chi si lascia
coinvolgere più del dovuto dal mondo virtuale, eludendo parte della propria
esperienza personale.
La psicologia
ci insegna che oggi la maggior parte delle malattie mentali dipendono proprio
dalla consumata incapacità di vivere a pieno la propria realtà storica.
Incapacità che induce sempre più spesso il paziente che presenta un disagio
psichico a chiudersi in un fantastico mondo di favole in cui sente ancora di
esistere, ma solo ed unicamente nella maniera che inventa per sé.
Il
problema è perché mai debba oggi essere necessario chiudere la propria vita nel
mondo immaginario dei pensieri, senza avere di fatto la capacità di tradurre i
sogni in realtà effettive. Perché si debba avere bisogno di inventarsi una
scimmia icona quando si è un essere umano reale, in carne ed ossa. Perché si
abbia così tanto terrore della realtà storica e si debba invece ricorrere ad
una letteratura che è forma bella, estetica, del vivere, ma che è assai lontana
dal rappresentarsi la vita, l’esperienza nel suo autentico fluire, per quanto
triste, ingannevole, brutta, essa possa essere e sia.
Ed è
proprio questo, io ritengo, il nodo della riflessione sulla quale la ricerca
filosofica contemporanea dovrebbe ormai cominciare a produrre.
Commenti
Posta un commento