Simone Weil Un Pensiero Accogliente



Simone Weil Un Pensiero Accogliente è stato pubblicato nel 2014 dalla Levante Editori di Bari.

L’autore, Biagio di Iasio, annovera tra i suoi scritti un Corso di Psicologia (1981); una Storia del Pensiero Filosofico (1983-1985); Temi e Problemi della Pedagogia Contemporanea (1987). Ma ha anche all’attivo altre pubblicazioni sulla Weil, e un libro, più recente, dedicato a Maria Zambrano, Pietà e Ragione (2012). Inoltre, si è occupato anche di Teilard de Chardin, Luigi Pareyson, Ernst Bloch.

La figura della Weil, in questo volume, viene accostata ad altre grandi donne della filosofia, come Maria Zambrano, filosofa della speranza; ed Hannah Arendt, filosofa dell’azione e della politica, nota soprattutto come autrice de La Banalità del Male.

Quello di Simone Weil appare, invece, da subito, un pensiero dell’inclusione e dell’accoglienza, che fa perno, essenzialmente, sul concetto di radicamento, cui si contrappone lo sradicamento, come soluzione inevitabile di chi non mette radici. Senza rinunciare, tuttavia, al dubbio iperbolico di Cartesio, che rimane una costante di metodo del pensiero critico di Simone Weil.

Gli elementi del radicamento, della sua filosofia, già individuati nel pensiero de La Prima Radice, sono il tempo e lo spazio, di kantiana memoria; il lavoro; la cultura storica e artistica; i valori della pace; la fratellanza e la giustizia; i valori della patria e della nazione (mai esasperati in modo fanatico, per non essere causa di conflitti e guerre); il diritto alla resistenza (la stessa Simone partecipò alla guerra civile spagnola dalla parte del fronte popolare marxista, contro la dittattura, che poi si impose, invece, con Franco nel 1939); la certezza della pena. Al contrario, lo sradicamento è inteso come violenza in senso lato, espressa, dunque, in tutte le forme possibili in cui essa, come mera esaltazione della forza, inevitabilmente si ritrova.

Il tema della violenza viene trattato ne L’Iliade o Poema della Forza.

Ai temi del radicamento e della violenza, o della forza, Simone Weil accosta anche quello del lavoro in fabbrica, in cui, da buona seguace di Marx, cerca di immedesimarsi, andando a fare esperienza come operaia della Renault, dove resterà per circa due anni, interrompendo la sua attività di insegnamento liceale.

Le sue riflessioni, affidate alla memoria dei posteri ne La Condizione Operaia, sottolineano come il lavoro di fabbrica sia organizzato in un ambiente nel quale è fatto letteralmente divieto di pensare agli operai, che diventano dei meri esecutori senza cervello dei differenti segmenti produttivi. Si tratta di un lavoro che disumanizza l’essere umano, depersonalizzandolo.

Il lavoro di fabbrica, esaltazione della tecnologia applicata alle macchine, rende tutti uguali, gli uni agli altri, depauperando la singolarità di ognuno, e privandolo del suo se stesso più proprio e autentico.

Se è vero che la scienza, da Talete in poi, si è andata progressivamente sostituendo alla religione, per aver messo al primo posto il pensiero critico, rimpiazzando quello dogmatico, è anche altrettanto vero che un uso distorto ed assolutizzante della scienza, nello scientismo, ha finito per privare l’uomo dell’intelligenza del sapere.

Lo scientismo tecnologico, difatti, si è asservito alle macchine nella produzione standardizzata delle grandi catene industriali, ed è divenuto l’emblema della profanazione dell’uomo nella sua più intima essenza creativa.

Così inteso, il lavoro diventa un ulteriore elemento dello sradicamento contemporaneo, laddove dovrebbe essere il momento più elevato della libera espressione della personalità individuale. E il lavoratore, così alienato da se stesso, finisce per trovare libero sfogo alle sue più infime passioni vitali, rifugiandosi nell’alcol, nella violenza, nella droga, e andando a prostitute. Accomunati in questo senso di insoddisfazione, ed inadeguatezza, sono, insieme agli operai, anche i militari e, in parte minore, gli stessi contadini, braccianti nullatenenti, sfruttati e sottopagati dai datori di lavoro.

Umanizzare il lavoro diventa, perciò, per la Weil, quasi una missione, che trova il suo apice nel misticismo religioso, e non, piuttosto, nella politica o nei partiti.

I partiti, infatti, per Simone, sono da rigettare, e vanno sostituiti con i movimenti, che non hanno come loro fine il potere politico ed economico. I partiti sono pensati per irreggimentare i propri iscritti ad un dictat, che è già, in se stesso, espressione di un luogo di potere.

Ma il momento più elevato dell’umanizzazione rimane, per Weil, il recupero del senso religioso, concepito come sentimento intimo, fede personale, di una trascendenza possibile ed auspicabile.

Simone Weil, che rifiuta il personalismo, in nome della categoria dell’individuo, la cui esistenza rimanda al sacro universalizzante, presente in ogni uomo, è anche alla continua ricerca di una Giustizia più alta di ogni diritto scritto, che risieda nel cuore e nella coscienza, e non piuttosto nella norma eteronoma.

In nome di questo principio, che richiama ogni essere umano alla sua radice trascendente, Simone cerca la fonte spirituale del senso eterno della vita. Non nei riti esteriori delle religioni ufficiali, ma nell’interiore sentimento di fede di ogni principio religioso. E tanto di più, universale, proprio per questo.

Simone fa, così, anche l’esperienza della conversione al cattolicesimo, ma rifiuterà sempre di ricevere il battesimo per non escludere “gli altri” dal suo amore aperto per l’umanità intera. Simone crede in Dio, ma crede ancor più nell'uomo.

L’amore per gli esseri umani, difatti, non può che essere accogliente, e non escludente. E Simone vuole stringere a sé l’intera umanità sofferente, nel sentimento della trascendenza, di un altrove, altro e alto, che superi i confini mortali dell’esistenza finita.

E lo fa, praticamente, mettendo al bando ogni steccato, o forma di separazione e di divisione. Che siano i partiti, le chiese, o le differenti tipologie di appartenenza, ad elevare muri di incomunicabilità, il suo pensiero filosofico vuole essere universale. E, perciò, libero.

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