Il Buddhismo Theravada in Ajahn Amaro
Il Buddhismo è una filosofia orientale,
nata nel VI secolo A.C. in India. Il fondamento della sua dottrina sono le
quattro nobili verità: la vita è dolore; si soffre perché si desidera; si può
smettere di soffrire smettendo di desiderare; il cammino per arrivare al
nirvana (la pace dei sensi) è l’ottuplice sentiero, che porta fino alla
saggezza di vita e all’illuminazione. L’ottuplice sentiero procede dalla retta
concentrazione alla retta consapevolezza, nell’affrontare il primo gradino
della disciplina mentale. Passa poi per il retto sforzo, la retta condotta di
vita e la retta azione, per la disciplina morale. E giunge dalla retta parola e
dal retto pensiero alla retta comprensione, che culmina nell’illuminazione, per
la saggezza vera e propria, frutto, come si è visto, di un lungo e faticoso
percorso di perfezionamento interiore. Vi è comunque, nel Buddhismo, la radice
teoretica di quello che nella filosofia antica del pensiero occidentale, da
Socrate fino a Platone e ad Aristotele, verrà definito come intellettualismo
morale. Cioè la condizione per la quale si è intimamente convinti che il male e
il peccato derivino dall’ignoranza, e non da una libera scelta tra le due
alternative possibili del bene e del male stessi. Questo determinismo morale,
anche piuttosto ingenuo, se vogliamo, avrà fine, nella storia del pensiero, con
il messaggio cristiano, ed in particolar modo con la filosofia di Sant’Agostino
e dei Padri della Chiesa che, identificando la libertà umana come principio di
dignità, individuano nel male e nel peccato gli effetti di una libera e
consapevole scelta morale, che nulla ha a che vedere con l’ignoranza e la
conoscenza. Da allora in poi la virtù morale sarà scissa, perché considerata
altra cosa, dalla scienza e dalla sapienza. Il racconto delle origini del
Buddhismo narra la storia di un principe indiano, di nome Siddharta, il quale,
stanco degli agi della sua vita di corte, abbandona il palazzo reale per uscire
a sperimentare la vita. Il contatto con la realtà dell’India è per lui
scioccante. La vista del dolore e della sofferenza, causati da malattie e
povertà estreme, fa decidere a Siddharta di scegliere un’esistenza diversa.
Egli non vuole più spendere il suo tempo nel lusso del suo palazzo reale, se
attorno ci sono la miseria e l’abbandono. Nel suo viaggio, in cui proverà più
volte il piacere della meditazione profonda, Siddharta darà origine ai precetti
del Buddhismo, ricevendo anche l’illuminazione. Ma il Buddha non è uno solo,
come Dio. Ciascun essere umano può diventare un Buddha, perché può meditare
nella consapevolezza profonda del risveglio, in cui non esiste più attaccamento
alle cose del mondo. L’attaccamento è, difatti, la radice di ogni sofferenza.
Perciò liberarsi da esso, non dimorando in nulla se non in se stessi, significa
raggiungere l’assenza di opposizione dialettica, la rigpa, che è la fine di
ogni dualismo, la cessazione del ciclo delle rinascite, che diffonde e crea
altro dolore. Le scuole più note del buddhismo sono quella del Grande Veicolo Mahayana,
diffusa soprattutto nella tradizione settentrionale. E quella del Buddhismo
Theravada, che è tipica della tradizione meridionale, ed è detta anche “Via
degli Anziani”. Ajahn Amaro è un monaco iniziato alla tradizione Theravada, che
ha sperimentato su di sé la difficoltà di meditare per una visione profonda
fino all’illuminazione del risveglio. Egli sostiene, nel testo Piccola Barca
Grande Montagna, Riflessioni Theravada sulla Grande Perfezione Naturale, che la
saggezza è una conquista faticosa, che necessita di impegno costante e
continuativo ad eliminare progressivamente l’attaccamento da ogni futilità.
Solo chi è libero può proseguire verso l’illuminazione ed il risveglio. La
pratica iniziale è quella della meditazione, o Vipassana, in cui ci si concentra
sul respiro e sulla propria persona, per poi far spazio progressivamente al
mondo e agli altri, che vengono cercati e riavvicinati attraverso la gentilezza
amorevole. La compassione, nel senso etimologico di “patire con” è il modo più
intimo, per i Buddhisti, di partecipare alla vita della comunità, perché
avvicina ciascuno alle gioie e ai dolori degli altri, determinando la radice di
una vera e propria empatia di gruppo, che si traduce in energia positiva per
tutti. In fondo il Karma vuol dire esattamente questo: che l’energia che si
sviluppa, positiva o negativa che sia, torna sempre indietro. Perciò è
probabile che chi fa il bene riceva in cambio il bene, e chi pratica il male
divenga prima o poi succube dello stesso male che ha generato. Il Buddhismo
Theravada crede nei cinque precetti per la virtù, molto simili ad alcuni dei
Comandamenti cristiani. Il primo comanda di astenersi dal prendere la vita di
qualsiasi creatura vivente. Si potrebbe tradurre nel “non uccidere”. Il secondo
impone di astenersi dal prendere ciò che non mi è stato dato. Banalmente lo
potremmo tradurre nel “non rubare”. Il terzo precetto chiede di astenersi da
una cattiva condotta sessuale. Corrisponde al cristiano “non commettere atti
impuri”. Il quarto precetto esige di astenersi da discorsi falsi e nocivi. Ed è
l’equivalente del “non dire falsa testimonianza”. Il quinto precetto consiglia
di astenersi dall’assumere bevande e droghe intossicanti, che portano alla
mancanza di attenzione. Questo perché, per i Buddhisti, è fondamentale rimanere
sempre presenti a se stessi dal punto di vista mentale. Chi obnubila la sua
facoltà di discernimento assumendo alcol e droghe perde la capacità
dell’illuminazione e del risveglio. Potremmo tradurlo, con qualche modifica,
nel cristiano “ricordati di santificare le feste”…ma non troppo. Il Buddhismo è
una religione senza Dio, che crede nelle potenzialità dell’essere umano, che è
Buddha a se stesso. Dio non è un’entità trascendente, ma si trova in ogni uomo,
quando ciascuno prova a rintracciare, in sé, ogni potenziale apparentemente
nascosto, perché non esercitato come si dovrebbe. I precetti morali del
Buddhismo Theravada diventano poi i principi di una filosofia di vita laica,
comunemente condivisibile per un corretto e rispettoso approccio a se stessi,
agli altri e al mondo circostante. La vicinanza dei precetti della Sila, la
legge delle virtù morali, con i comandamenti della morale cattolica fa
comprendere come i principi della moralità buddhista non siano poi così astrusi
e distanti dal mondo della tradizione filosofica e religiosa in senso lato.
Ecco perché il Buddhismo è, ad un tempo, una pratica filosofica esistenziale e
una fede religiosa, che crede nell’atman, nell’anima umana, piuttosto che in un
Dio trascendente e al di fuori dell’uomo.
Commenti
Posta un commento