Attesa di Dio




Il libro Attesa di Dio di Simone Weil, raccoglie i testi della filosofa francese tra il 1941 e il 1942, e contiene alcune lettere indirizzate a Padre Perrin, gli scritti di meditazione sul Padre Nostro, sulle Forme dell’Amore Implicito di Dio, sull’Amore di Dio e la Sventura, sul Buon Uso degli Studi Scolastici e sui Tre Figli di Noé, componendosi, inoltre, di un’appendice alle lettere e agli scritti.


Nell’epistolario con Joseph Marie Perrin, la Weil esplicita le ragioni, ferme e risolute, che le impediscono di ricevere il battesimo per entrare definitivamente, ed ufficialmente a far parte della grande schiera dei cattolici. Ella parla della mancanza di convinzioni profonde sulla fede più diffusa al mondo ma che, tuttavia, le lascia ancora molti dubbi. Piuttosto che colmare quei vuoti con un’adesione non proprio convinta, Simone preferisce, allora, continuare a restarne fuori del tutto. Una delle più meditate convinzioni a favore di questa scelta, per la quale chiede anche umilmente scusa a Padre Perrin, nella speranza che riesca a comprendere, è la risoluzione, in quanto pensatrice e filosofa, a non abbandonare l’umanità tutta, per prendere posizione a vantaggio del numero dei credenti cattolici che, vuoi o non vuoi, nella convinzione intima della Weil, costituiscono, comunque, una setta religiosa, che si riconosce in un gruppo di appartenenza. Ed ogni appartenenza identitaria, in quanto tale, non può che rappresentare una forma di estromissione di tutti quelli che, a quel gruppo, e a quella setta, seppure di tipo religioso, non appartengono.

Seguono, poi, gli scritti, che si aprono con una bella riflessione sul Padre Nostro, la preghiera più bella di tutte, secondo Simone, perché in essa vi sono tutti gli elementi della fede cattolica.
In particolare voglio, però, soffermarmi sulle Forme dell’Amore Implicito di Dio, sull’Amore di Dio e la Sventura, e sul Buon Uso degli Studi Scolastici.
Nel capitolo sulle Forme dell’Amore Implicito di Dio, la Weil sostiene che, dal momento che è impossibile, per l’umanità, incontrare Dio direttamente, ogni esperienza di fede si limita ad essere un’esperienza indiretta. Dio si manifesta all’uomo nei modi del suo Amore, attraverso le cerimonie religiose, la bellezza del mondo, l’amore per il prossimo, e l’amicizia. Queste forme dell’amore implicito di Dio sono espressioni della sua presenza tra di noi, perché Dio è presente nelle cerimonie religiose, in quanto massima espressione della spiritualità tanto invocata nei riti cattolici; ma è anche espressione più alta di quella bellezza che possiamo apprezzare in natura; Amore assoluto, di cui l’amore che proviamo per gli altri, e che gli altri provano per noi, è solo una minima parte rispetto al tutto; forte legame di amicizia e di alleanza, con i popoli e tra i popoli, che si rinnova ogni volta nella relazione con l’amico, cha abbiamo scelto e al quale siamo fedeli.
Quando, invece, scrive dell’Amore di Dio e della Sventura, Simone Weil fa riferimento all’esperienza della croce, che rappresenta il fallimento di quel Dio che si è completamente donato all’umanità fino a perdere tutto, persino la sua stessa vita. Ed il suo Amore per l’uomo è talmente grande da rifiutare ogni altra possibile soluzione: il ritorno al Padre, la guerra degli Angeli. Dio accetta la morte, sapendo di essere stato ormai sconfitto nel suo progetto d’Amore per l’uomo. Ma nella consapevolezza, altrettanto fondata, di poter un giorno, anche lontano nel tempo, recuperare quello stesso Amore, quando finalmente l’umanità avrà capito la sua storia e il senso del destino amaro che gli era stato assegnato dal Padre, per salvare l’umanità, convincendo gli esseri umani a credere in Lui, e nella Resurrezione. Perché la fede in Dio è fede nella Vita, giammai nella morte, attraverso la quale, nonostante tutto, Egli deve, purtroppo, passare, per risorgere.
Eppure la vita, e l’epilogo sul Golgota, mostrano agli occhi umani il volto della sventura di Dio. Sventurato, sostiene Simone, è chi perde tutto. E Dio ha perso tutto. Perciò si è assunto, sulla propria carne, la sventura dell’uomo, portandola al più alto esito del sacrificio possibile, nella morte di croce.
La sventura sradica. Eppure, per recuperare le radici della nostra stessa esistenza, è necessario passare attraverso la perdita, il lutto, l’inferno del nulla. Coma ha fatto Dio, per mostrare all’uomo la via.
Nel capitolo del testo dedicato al Buon Uso degli Studi Scolastici, e ai compiti a casa, la filosofia francese sostiene che versioni di Latino e problemi di Matematica non servono tanto ad imparare immediatamente qualcosa di utile in se stesso, quanto piuttosto a formare quella capacità di attenzione e di concentrazione che si dimostrano utili a tutti, per orientarsi tra le trame della propria esistenza. L’umanità esige scambio, ed attenzione reciproca. Perché essere attenti all’altro è il primo passo per prendersene cura, e per diventare gli uni verso gli altri responsabili. Chi ha sempre studiato, ha formato l’abitudine all’attenzione, e alla concentrazione, ed è capace di affrontare i problemi, prima di tutto dal punto di vista teorico, riflettendo e meditando sulle questioni, nel tentativo di risolverle.
La vita umana è costituita da una serie di domande, provenienti dall’ambiente circostante, ma anche dagli altri esseri umani, con i quali ci troviamo a dover interagire. La capacità di riflettere sui problemi, per trovare la soluzione più adeguata alle situazioni, di volta in volta incontrate, abitua a porre un’attenzione costante alle cose, che è una dote necessaria ed indispensabile per adattarsi in modo intelligente, e sopravvivere alle disgrazie, o alla sventura.
L’altro ci interpella, chiedendoci attenzione e cura. L’altro è un interrogativo problematico, da risolvere, ma sul quale è anche doveroso riflettere, per pensare fino in fondo la condizione umana.
L’abitudine allo studio dà vita a questa capacità di interazione immediata con la domanda posta dall’esistenza dell’altro. Formando quell’attenzione necessaria a prendere l’altro nella giusta considerazione. Risolvere un quesito matematico, o tradurre una versione da una lingua all’altra, non sono, perciò, operazioni fini a se stesse, ma costituiscono i presupposti di una formazione culturale e strategica, quella che si chiama forma mentis, indispensabile ad aggredire la vita in tutte le sue dimensioni, avvicinandoci all’altro, per rispondere prontamente alla sua chiamata.
I mali peggiori del mondo derivano proprio da questa incapacità di ascolto che ciascuno dimostra nei confronti dell’altro, attraverso una sordità mentale e psicologica, che ci rende tutti abitatori di uno squallido universo senza fini e senza solidarietà comunitaria. Ne deriva la sventura, che è lo sradicamento totale, di fronte al quale si lamenta la perdita di tutto, dal denaro, ad un posto di lavoro, alla credibilità degli altri, al proprio collocamento nella società civile.
Gesù sulla Croce è il simbolo di questa umanità sconfitta, e sradicata, che non trova vero ascolto negli altri, ma che incorre, piuttosto, nel travisamento, nel tradimento, nella condanna dopo il processo di piazza. Perché quelli che interrogano Gesù Cristo non cercano la Verità, quanto piuttosto una conferma delle loro personali convinzioni. Distorcendo e travisando la realtà.
La cultura serve, al contrario, a permettere questo ascolto significante e significativo delle domande silenziose che l’altro pone di continuo quando ci interpella. Semplicemente essendo presente, con la sua stessa esistenza, e palesandosi a noi, così com’è.
L’attesa di Dio diventa, così, scoperta dell’altro, nel quale scorgo la trascendenza del mio stesso essere e vivere.

La mistica dell’altro è il più grande capolavoro della spiritualità di Simone Weil, che visse una religiosità intrisa di interiorità, ed ebbe il coraggio di combattere il rito, l’esteriorità, la forma, e la megalomania del gesto eclatante, per riscoprire la genuinità di quel sentimento originario e semplice che lega ogni essere umano alla sua più alta radice in Dio.

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