Esistenzialismo e malattia


La filosofia esistenziale di Heidegger considera la presenza dell’esserci nel mondo come dasein, essere gettato da.
L’esserci, l’esistere, è solo deiezione mondana, e abbandono, che si risolve nel prendersi cura, e nella comprensione autentica dell’uno per l’altro.
L’esistenzialismo ritiene l’esistenza patologica in quanto tale, nel momento stesso in cui rappresenta il limite ontologico della natura umana di fronte all’eternità dell’Essere, da cui dipende, e da cui deriva.
L’esserci vive la frustrazione dello smacco che è insito nella sua finitezza, per la quale pur tendendo all’Essere, non potrà che rimanere chiuso e costretto nella sua imperfezione, e nel suo spazio esistenziale angusto del vivere in attesa e del “vivere per la morte”.
Da questa consapevolezza, in Heidegger, come in Jaspers, derivano l’angoscia esistenziale e la disperazione, che sono già, in se stesse, delle forme patologiche di esposizione mondana del “ci” dell’esserci.
L’esistenza è in se stessa malata, in quanto esperienza del limite e della finitezza umana. E perciò causa di insoddisfazione e di frustrazione permanente.

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