Alla Ricerca della Felicità
Da sempre i filosofi hanno cercato la via per essere felici. Siamo nati per stare bene con noi stessi, non per tormentarci con false idee. Perciò, lo scopo della ricerca esistenziale è "Come posso essere felice?". "Come posso essere felice" è anche lo scopo della filosofia, oltre che la sua prima domanda di verità. Non esiste "vero" che non coincida con questa ricerca attorno all'umano.
In che cosa identifico la felicità?
Spesso identifichiamo lo stare bene, nel senso di
"essere felice", con alcuni oggetti del desiderio:
1) le cose (e il loro possesso)
2) il divertimento e le situazioni (dunque l'ambiente e il
piacere che ne è legato)
3) l'equilibrio interiore (inteso come armonia della psiche)
Bisogna, perciò, domandarsi "in cosa identifico
la felicità?"
Nel primo caso lo stare bene discende dal possesso di
determinati oggetti ai quali affidiamo la felicità. Nel secondo siamo
dipendenti dalle situazioni e dalle condizioni ambientali, dal piacere che ne
deriva, e dunque dagli altri. Nel terzo la felicità scaturisce dall'armonia
interiore della nostra psiche che, quando è in pace e in equilibrio con se
stessa e con gli altri, oltre che con la realtà esterna, è causa di serenità e
di benessere stabile e duraturo.
Il Locus of Control
Il Locus of Control può essere interno o esterno
Se la felicità dipende dalle cose, dalle situazioni e dagli
altri, il locus of control è esterno, e in balìa delle emozioni del momento. Se
è interno, essere felice non potrà che dipendere da me. Il controllo interiore
mi garantisce equilibrio e stabilità, indipendentemente da ciò che mi accade
attorno. Se il luogo della mia felicità è dentro di me, posso ritrovarmi in
quel luogo tutte le volte che lo desidero, riscoprendo anche la pace, la
serenità, l'equilibrio, e la felicità stabile, che non muta al mutare della
situazione del momento.
Soli o in compagnia?
Insieme si è più felici
Un altro mito che bisogna sfatare, se si vuole essere
felici, è quello dell'autarchia stoica del vecchio saggio, pago e soddisfatto
di se stesso, che vive chiuso nella sua torre eburnea. Non si può essere felici
stando soli. Né, tanto meno, vivendo in una condizione di isolamento, che ci
priva del contatto umano con i nostri simili. Per essere felici abbiamo bisogno
di stare insieme. Di guardarci, di ascoltarci, di sentirci, di toccarci.
Persino di annusarci. Di costruire e nutrire relazioni sociali, fatte di
amicizia, rispetto, tolleranza, fraternità, e amore. Per essere felici abbiamo
bisogno di essere amici, padri, madri, sorelle e fratelli, figli. Abbiamo
bisogno di essere e di fare comunità. Abbiamo bisogno di dialogo e di
condivisione, di comunicare e di comunicarci agli altri.
Smettere di essere forti
Ho bisogno di te
Chi è forte ce la fa comunque anche da solo. Ma da soli non
è possibile essere felici.
La strada verso la felicità è:
1) non cercare più la perfezione
2) abbandonarsi alle proprie debolezze
3) accettarle per quello che sono
Questa è la felicità.
Accettarsi e agire
Prima di tutto è necessario che io impari ad accettarmi così
come sono, osservando i miei stati d'animo, senza giudicarli. Voglio osservare
me stessa dal di fuori, voglio guardarmi vivere, senza pregiudizio. Io vivo, io
accado, e questo è tutto. Esisto, semplicemente. Vivo, semplicemente. E, per
esistere e vivere, io agisco. Esistere ed essere vuol dire vivere, cioè fare
qualcosa.
Ma, per lasciarsi andare alla vita è necessario:
1) pensare meno
2) agire di più
3) essere operativi (nel contesto e sugli altri)
Facendo qualcosa io sto vivendo la mia vita, e cambio, nel
contempo, la realtà che mi circonda. Quando agisco accresco la mia
autoefficacia, e miglioro l'autostima. Sento che posso farcela e che sono
capace. Per questo devo provare.
Condividere
l’umano
Ogni esperienza di
condivisione è un'esperienza di felicità. Esco da me, incontro l'altro, ritrovo
me stessa in lui, con le mie fragilità, la mia imperfezione, il mio bisogno di
complementarietà e di completezza. E, nell'accettare il mio limite, sono
felice di essere in compagnia. E non mi sento sola.
Fare pulizia
Se voglio essere felice
devo imparare a sbarazzarmi di tutte quelle cose, inutili zavorre, che non mi
servono e che non uso più. Le nostre case sono piene zeppe di oggetti che
abbiamo accumulato negli anni, e che custodiamo gelosamente, senza mai buttarle
via. Fare pulizia significa alleggerire il peso che ci portiamo appresso, e
che, insieme agli oggetti dismessi, rappresenta il passato di cui non riusciamo
a liberarci. Così come faremo vuoto e spazio esteriormente saremo induttivamente
in grado di liberarci delle scorie anche dentro. Il solo tempo che ci è dato
per essere felici è il presente. Chi non riesce a vivere in questa dimensione
dell’hic et nunc, perché non sa liberare le sue energie attuali, vive ancorato
nel ricordo nostalgico di ciò che non è più, ed è costantemente preda
dell’ansia per ciò che non è ancora. Un esercizio utile potrebbe essere quello
di buttare via ogni giorno qualcosa che non ci serve più, alleggerendo il peso
della zavorra materiale e spirituale che ci portiamo dietro. Attivare questo
comportamento ci aiuta anche a rimettere in moto il metabolismo cellulare, e
costituisce un importante antidoto contro l’obesità e i chili di troppo. Ciò
che deve essere chiaro è che i comportamenti esteriori attivano delle modalità
di risposta interiori della psiche che, con l’abitudine, forma degli schemi
attitudinali, attraverso i quali saremo pronti a reagire sempre allo stesso
modo al ricorrere delle stesse situazioni ambientali. In questo caso il
pensiero e l’azione si identificano, e si tramutano nelle fattezze corporee, di
modo che chi è leggero nei comportamenti e nelle azioni, lo sarà anche nei
pensieri e nella fisicità esteriore. Le cose e i pensieri possono diventare un
peso insopportabile che è necessario imparare a gestire se non vogliamo
appesantire corpo e mente. E soprattutto se vogliamo prenderci cura della
nostra felicità.
Non sono la mia storia
Un'altra strada per essere felici si percorre maturando la
consapevolezza che, nonostante il mio passato, io non sono la mia storia. Sicuramente
posso aver vissuto la caduta, lo scacco, l'errore, la sconfitta, ma questi
trascorsi, oggi, non mi appartengono più. Essi hanno permesso che io
diventassi ciò che sono, ma costituiscono anche un pesante bagaglio di pregiudizio
di cui devo liberarmi, e che non posso portarmi dietro, se voglio essere
davvero libera e felice. La storia personale, come quella dell'umanità, è un
riferimento importante, per poter risalire alle radici. Nessun uomo può
affrancarsene completamente. Altra cosa è vivere nostalgicamente abbarbicati al
passato che, in questo caso, diventa una gabbia, e rende impossibile stare nel
presente. Le radici comuni rappresentano la storia. Ma alla memoria deve
sapientemente accostarsi l'oblìo, indispensabile per vivere nel presente. Per
questo ricordiamo e dimentichiamo. Ed è una fortuna che avvenga tutto ciò. Perché
il solo tempo che ci appartiene è il presente, l'hic et nunc, il qui ed ora.
Senza il quale non saremmo davvero esseri viventi, ma fantasmi, che si aggirano
come spettri alla ricerca di un tempo che ormai è andato via per
sempre. Col passato lasciamo andare anche i vecchi modelli
comportamentali, e ci reinventiamo attraverso nuovi cliché. Non è detto che, se
in un'occasione ho agito in un determinato modo, quell'azione deve
caratterizzarmi per il resto della mia esistenza. Liberiamoci dalle gabbie
della nostra storia personale, ed instauriamo il cambiamento, che non è in se
stesso qualcosa di positivo, sempre e comunque, ma è necessario per imparare ad
osare nuove strategie di azione, e nuovi modi di essere e di agire.
Il piacere della novità
Accetto tutto ciò che mi capita, anche di poter cambiare
strada, perché non vado da nessuna parte, e non ho progetti sulla mia vita. Vivo
giorno per giorno, così, senza programmare niente. E lascio che le cose
accadano. Non mi perdo nulla. Ma assaporo tutto come un bel bocconcino,
che sa di nuovo. A tavola prediligo cibi diversi. Non mangio sempre le stesse
cose. Per andare a lavoro seguo percorsi diversi, non faccio sempre la stessa
strada. Evito di ripetere, ogni giorno, le solite abitudini. Mi invento
qualcosa di nuovo. E sono curiosa di incontrare e conoscere gente
diversa. Non frequento sempre gli stessi amici, anche se ne ho di cari. Non
faccio sempre le stesse cose. Se non voglio ottenere sempre le stesse reazioni.
Cambio, me stessa, la compagnia delle persone con le quali mi trovo ad
interagire, il contesto di intervento.
Vivere in vacanza
L'estate ormai è finita. Ma non bisogna perdere l'abitudine ad
uscire. Perché la dimensione vacanziera non deve essere confinata alle giornate
di sole, e può invece essere estesa ai momenti liberi, nel corso dell'anno, e
con qualunque temperatura atmosferica. L'ideale sarebbe fare della propria vita
una vacanza: amando il proprio lavoro; divertendosi nel farlo; coltivando hobby
e passioni; mostrando piacere per le novità. In questo modo riusciremo a
portare la nostra mente a rilassarsi ogni giorno, in quegli spazi di tempo che
ci saremo ritagliati per curare i nostri interessi. E non avremo bisogno di
fare continui viaggi, più o meno lontano da casa, per "staccare" con
la quotidianità.
Accogliere la realtà
Come la
rena si lascia lambire dall'onda, senza opporle resistenza, così dobbiamo
essere noi nella vita: presenti e resistenti, e poi...sia fatta la Tua volontà.
Accettare tutto ciò che ci accade, è questa un'altra maniera
per essere felici. Non per giustificare hegelianamente la realtà. Né per
voler essere fatalisti. Semplicemente,
per smussare il nostro ego smisurato, che ci porta a credere di avere potere su
tutto. Ci sono cose che, pur
volendolo, non dipendono dal nostro operato. E che non possiamo modificare. Il nostro potere di cambiamento non è
illimitato. Dobbiamo accettare
di doverci arrendere a tutto ciò che non possiamo controllare, e che non
dipende da noi. In questo modo
sapremo accogliere ciò che accade, con il senso della sua ineluttabilità. D'altra parte, nessuno può cambiare
ciò che è stato. Pretendere di farlo significa voler lottare contro i mulini a
vento. Per non farci male,
perciò, lasciamo andare le cose sulle quali non abbiamo potere, come esse
devono andare, senza pretendere di poterle orientare a nostro piacimento, per
cambiarle nella direzione che a noi aggrada di più. Non siamo il centro dell'universo. Ma solo una sua piccolissima
ed insignificante parte. Perciò,
manteniamoci nel nostro spazio di azione. Senza sentirci protagonisti ed eroi
se le cose vanno bene comunque. E senza colpevolizzarci inutilmente quando
sembra che tutto vada a rotoli, ma noi non possiamo farci niente, perché le
abbiamo già provate tutte. E non possiamo di più. Questo atteggiamento mentale ci farà sentire in pace con la
nostra coscienza e ci appagherà, offrendoci serenità e anche una certa
soddisfatta felicità.
Solitudine e dialogo interiore
Molti
temono la solitudine, non perché hanno paura di restare soli, quanto piuttosto
perché non sanno stare soli con se stessi. Il
bisogno e la necessità di riempire il vuoto della nostra presenza ci porta a
circondarci di gente che ci faccia dimenticare chi siamo. Prima degli altri, invece, veniamo
noi. E finché non sapremo farci compagnia, non ameremo la solitudine. Una buona occasione per sfruttare al
meglio il rimanere soli con noi stessi è il dialogo interiore, che stimola quel
"conosci te stesso" di antica memoria socratica. Come possiamo difatti pensare di
stare bene con gli altri se non conosciamo prima noi stessi? Fino a poco tempo
fa si pensava che chi parla con se stesso fosse uno squilibrato. Oggi si sostiene esattamente il
contrario. Perché il dialogo
interiore, in chi lo pratica, migliora l'autostima e la consapevolezza del
proprio sé; aiuta a riflettere e ad agire ponderatamente; offre serenità e
migliora la relazione con l'altro. Parlarsi,
commentando ad alta voce non soltanto gli eventi negativi, ma anche quelli
positivi della giornata, magari facendosi dei complimenti, rende più felici e
consapevoli. E aiuta a scorgere i lati oscuri della nostra
personalità, il buono e il cattivo che c'è in noi, discriminando le emozioni,
spesso conflittuali e contraddittorie, che ci assalgono e rischiano di
sommergerci, quando non le conosciamo a fondo.
Cambiare strada
Un filosofo antico di nome Socrate non scrisse nulla, perché
riteneva che la filosofia fosse l'arte del dialogo, e che scrivendo le verità
si cristallizzassero, senza poter essere mai più modificate nel corso del
tempo. Il percorso filosofico come quello umano è caratterizzato da continui
cambiamenti di rotta, proprio perché la vita è movimento e ciò che si muove si
presenta in continua evoluzione. Nessuno può pensare di decidere la sua
esistenza una volta per tutte, perché ci saranno molti eventi che porteranno su
altre strade. Non fare progetti per il futuro, e vivere alla giornata, è un
potente antidoto contro il rischio di prefabbricarsi un modus vivendi che
potrebbe diventare un'asfittica gabbia di morte. Fare progetti con la
consapevolezza che niente è per sempre, vuol dire essere in grado di ammettere
che si può cambiare idea, e strada. Nessuno può indicare, definitivamente, la
strada del proprio cammino. Voler percorrere un tragitto, e sempre lo stesso,
per tutta la vita, vuol dire farsi ciechi al cambiamento, e a quello che accade
nelle nostre vite. Non andiamo da nessuna parte. Non dobbiamo arrivare. La vita
è nella stessa vita, nel vivere semplicemente. Se è importante avere un piano,
un progetto di vita, con desideri e aspettative che orientano le azioni, è
altrettanto importante non ritenere definitivo e immodificabile quel piano. La
versatilità è una misura dell'intelligenza, e rende duttili ammorbidendo quegli
spigoli troppo rigidi del carattere. Chi si piega muore dopo. Chi si spezza
prima. La canna è più forte del ramo giovane, sottile e fragile. Bisogna
imparare a vivere come canne al vento.
Vivere il dolore
Bisogna
lasciarsi sopraffare dal dolore per viverlo intensamente e poi liberarsene. Soffocare
le emozioni, anche quelle negative, può fare molto male. Bisogna lasciarsi
andare al dolore e alla sofferenza, vivendoli intensamente, perché questa è la
sola strada possibile per liberarsene. Il
dolore negato e non risolto resta lì, in un cantuccio dell'anima, pronto a
riemergere cronicizzandosi e somatizzando. Quando si soffre bisogna raccontare,
dire, sfogarsi, verbalizzare a parole ciò che si prova. Esternare gli stati d'animo è la prima terapia contro la
sofferenza psichica e la malattia. Ed
è necessario piangere, se serve a sciogliere il nodo. Solo così, dopo averlo raccontato e sofferto fino in fondo, il
dolore si risolverà. E si potrà
andare oltre, ricominciando a vivere.
Lasciare andare per lasciarci andare
Non si
può trattenere tutto. Ci sono persone e situazioni che è bene imparare a
lasciare andare. Quando
non possiamo fare niente per modificare una situazione o cambiare il carattere
di una persona alla quale siamo affezionati, ma che ci fa stare male, è meglio
accettare la realtà per quella che è. E, in qualche caso, anche lasciar andare,
e lasciarla andare. Dobbiamo acquisire la
consapevolezza di avere un potere limitato sulle cose. Il nostro desiderio, anche legittimo, di
dominare la realtà, si scontra inevitabilmente con il dover prima o poi
prendere atto dei nostri limiti, che ci impongono, ad un certo punto, di
fermarci davanti all'impossibilità di agire per cambiare il contesto. Quando abbiamo fatto tutto quello che
potevamo fare stiamo, se non altro, con la coscienza tranquilla, e possiamo
vivere in pace con noi stessi. La
stessa arrendevolezza davanti all'ineluttabile la esprimiamo quando, piuttosto
che voler dominare a tutti i costi la scena del nostro vivere, ci abbandoniamo,
lasciandoci andare al sentimento, all'amore o, molto più semplicemente,
accettiamo i sentimenti degli altri nei nostri confronti, senza rifiutarli. Molti, che temono di essere amati quando
non amano a loro volta, rifiutano il sentimento che non corrispondono, fuggendo
di continuo situazioni ed emozioni che potrebbero costituire un toccasana. Ciò non vuol dire che dobbiamo farci
andare bene chiunque. Ma vuole piuttosto significare che accettare e lasciare
andare vuol dire anche lasciar essere
situazioni, persone e sentimenti, anche se non ci appartengono. Non siamo il centro dell'universo.
Prendere atto veramente di questo è molto importante, perché ci aiuta a capire
che viviamo in un contesto, e che abbiamo la capacità di influenzarlo, ma di
essere a nostra volta influenzati da quello. E tutto questo ci aiuta a smussare il nostro egocentrismo,
imparando a rinunciare a qualcosa, ma, nello stesso tempo, arricchendoci
umanamente, perché sappiamo di non essere mai del tutto soli, e di avere sempre
qualcuno accanto su cui contare. Fatto che scopriremo soltanto se impareremo, a
nostra volta, a lasciarci andare, per vivere finalmente.
Non devo nulla a nessuno
Un
altro modo per essere felici è credere di non dovere niente a nessuno, e di non
dover dimostrare niente a nessuno. Siamo quello che siamo, e veniamo
fuori, con i nostri pregi e difetti, in tutto ciò che facciamo. Perciò, non
dobbiamo nulla a nessuno, tanto meno dimostrare qualcosa. Vivere ed esistere
devono essere espressioni naturali del nostro saper stare al mondo. Chi è
affetto dall'ansia continua di dover provare qualcosa fa fatica, si stressa, si
stanca. Viviamo serenamente la nostra vita. Non dobbiamo niente a nessuno. E,
soprattutto, non dobbiamo dimostrare nulla. Nemmeno a noi stessi.
Ho tutto. Non mi manca niente
Questo è il giusto atteggiamento di chi vuole essere felice. Il bicchiere è sempre mezzo pieno, mai mezzo vuoto. Ci si accontenta di quello che c'è, valorizzandolo. E da lì bisogna ripartire. Per la felicità....
BIBLIOGRAFIA
Raffaele Morelli, Come
Essere Felici, Edizioni Mondadori, Milano 2016.
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