La nascita della filosofia vista dai Greci
La nascita della filosofia vista dai
Greci è il titolo di un libretto agile e scorrevole nella lettura, scritto da
Giovanni Casertano nel 1977, e riproposto, in seconda edizione, per la Petite
Plaisance di Pistoia, nel 2007. Si tratta di una breve indagine sull’origine
della filosofia, datata nei manuali scolastici al VII secolo A.C., nelle
colonie dell’Asia Minore, e precisamente a Mileto, patria del primo filosofo
Talete. La domanda che si pone Casertano, docente di Storia della Filosofia
Antica, presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, è se siano
rintracciabili elementi di riflessione filosofica già in Egitto, in epoche
precedenti, e se la speculazione filosofica abbia avuto sempre le stesse
caratteristiche, o non sia piuttosto il caso di fare un distinguo tra ciò che veniva
normalmente considerato filosofia nel VII secolo, e ciò che il termine è andato
significando dopo, o avrebbe potuto significare prima di quella datazione.
Casertano fa riferimento a tre parole utilizzate dagli antichi Greci. Sofòs,
filòsofos, e sofistès. Sofòs vuol dire uomo saggio e sapiente. Filòsofos è
colui che è ancora alla ricerca della sapienza. Sofistés è il maestro, colui
che insegna filosofia nelle scuole. Vi è quindi, già all’epoca dei Greci, una
grande distinzione di significato, nell’ambito della ricca terminologia
filosofica, tra le parole con le quali si suole indicare qualcuno che pratica
abitualmente la filosofia. Spesso però, queste parole, oggi sono utilizzate
indifferentemente come sinonimi, in maniera erronea e senza badare alle sottili
differenze di significato, che invece sono importantissime. Generalmente il
saggio era difatti il vecchio sapiente. Ma lo stesso Socrate viene definito
l’uomo più saggio di Atene, dall’Oracolo di Delfi, per il suo sapere di non
sapere, proclamandosi ignorante. Il filosofo, invece, è colui che cerca la
verità, ed è ancora in cammino, senza possedere certezze. Egli, nelle prime
forme di speculazione filosofica, si presenta come un indagatore delle cose
della natura, e del cosmo, ponendosi domande sull’origine di tutta la realtà,
alla ricerca dell’arché primordiale. Questa prima ricerca filosofica è una
metafisica della natura, come sostiene lo stesso Aristotele, nei primi
filosofi, chiamati anche fisiologi e cosmologi, perché i primi principi vengono
rintracciati negli elementi naturali come l’acqua (Talete), l’aria
(Anassimene), la terra (Senofane) e il fuoco (Eraclito), o anche in tutti e
quattro questi principi, le radici (Empedocle). Essi sono detti naturalisti,
perché ritrovano le cause prime di tutto il reale in elementi della natura.
Sono poi chiamati monisti coloro i quali sostengono l’esistenza di un solo
principio, mentre vengono detti pluralisti quei filosofi che immaginano più
radici o principi della realtà. Accanto ai naturalisti vi sono poi i non
naturalisti, come Melisso e Parmenide, che fonda l’ontologia dell’Essere;
Anassimandro, che si occupa dell’apeiron; Pitagora, i cui principi primi sono i
numeri; gli atomisti Leucippo e Democrito; Anassagora, con le omeomerie. Tutti
questi studiosi vengono chiamati Presocratici perché specularono quasi tutti
prima di Socrate, e perché condussero una ricerca diversa da quella umanistica,
che iniziò in un periodo successivo con i Sofisti e raggiunse il suo massimo
livello espressivo nella filosofia di Socrate. I Sofisti, maestri di retorica a
pagamento, erano ritenuti filosofi di secondo ordine dallo stesso Socrate e dai
suoi contemporanei, perché si prostituivano, sostituendo alla verità il
criterio dell’utile, ed insegnando la filosofia nelle scuole, per di più
ritenendosi sapienti senza nulla conoscere. Platone e Aristotele tornarono alla
metafisica, ma la loro ricerca filosofica fu soprattutto una sistematica
esposizione di temi e problemi ad ampio raggio, avendo indagato, i due maggiori
rappresentanti del pensiero classico, ogni aspetto dell’umana ricerca. Se per
filosofia vogliamo intendere un’indagine razionale sui principi, essa nasce
quando la narrazione orale si distacca dal racconto mitologico fantastico per
prendere la forma di un’argomentazione ragionata sull’oggetto dell’indagine
stessa. Con Platone vi è, però, un ritorno al mito, nel quale compare adesso
una spiegazione plausibile dei fatti narrati che, lungi dall’essere frutto di
una mera invenzione del poeta, assume quello di una metafora che tutti possono
comprendere, senza essere necessariamente degli addetti ai lavori. Con
Aristotele, lo stile tipico della scrittura filosofica giunge poi al trattato.
Bisogna, ad ogni modo, puntualizzare che è proprio con Platone che inizia la
tradizione degli scritti filosofici, che il filosofo dell’Accademia trasmette
ai posteri nella forma del dialogo dialettico, tra i cui protagonisti c’è
sempre il grande Socrate ad interloquire nelle sue dispute con i Sofisti. Prima
di lui esistevano solo i frammenti dei Presocratici e la tradizione orale di
Socrate, che aveva scelto di non scrivere, prediligendo il dialogo maieutico.
La civiltà più prossima a quella greca è, comunque, quella egizia. E Casertano
si chiede se non siano stati proprio gli Egiziani i primi cultori della scienza
filosofica, solo secondariamente trasmessa ai limitrofi Greci. Se, infatti, la
ricerca filosofica si distingue dalla fede religiosa, è anche vero che molti
tra i presocratici possono essere ritenuti a buona ragione anche dei teologi, perché
i loro principi primi venivano interpretati come vere e proprie divinità. Si
pensi all’acqua di Talete, o all’aria di Anassimene, ma anche alle terra di
Senofane, al nous di Anassagora. In questo senso si può parlare di una
derivazione, delle prime espressioni filosofiche, da quel politeismo
naturalistico delle civiltà più antiche, legittimando la domanda di Casertano,
se non sia la civiltà occidentale greca in debito nei confronti del popolo
egiziano. In effetti sembra che buona parte della civiltà greca derivi da un
travaso di conoscenze tra i due popoli. Già nel VII secolo A.C., in
contemporanea con la nascita del pensiero occidentale nelle colonie dell’Asia
Minore, era diffuso in India il Buddhismo, una pratica filosofica di origine
religiosa, che aveva come scopo quello di alleviare il male di vivere e la
sofferenza dell’esistenza, attraverso la ricerca del Nirvana e l’Ottuplice
Sentiero. Ma sappiamo anche che lo stesso Buddhismo non sarebbe altro, a sua
volta, che una derivazione dell’Induismo, antica filosofia metafisica dell’est
asiatico, risalente addirittura al XIII secolo A.C., e perciò molto più antica
del Buddhismo stesso, sua probabile variante. Vi è quindi già una prova certa
sull’esistenza di un pensiero orientale, e della sua influenza sull’Occidente a
partire da quel tempo lontano, in momenti in cui nessuno avrebbe potuto
immaginare che sei, sette secoli più tardi sarebbe nata la speculazione
occidentale dei Presocratici. Ma esistono almeno due fonti dirette tra i Greci
a sostegno della domanda del Casertano. E si tratta di Clemente e di Numenio di
Apamea. Entrambi, l’uno di cultura cattolica, l’altro pagano, sostengono
l’esistenza di una contaminazione tra le due civiltà, dicendo anche che la
cultura egiziana doveva essersi già espletata attraverso forme di riflessione
razionale, del tutto simili alle categorie del pensiero logico adoperate per
spiegare il mondo dai Presocratici greci. Clemente parla di una comunanza di
culti, e di una dipendenza di quelli greci da quelli egiziani. E per rimarcare
l’origine orientale dalla filosofia greca così si esprime a proposito:
“Riconoscano dunque i filosofi come loro maestri i Persiani o i Suromati o i
Magi, dai quali essi hanno appreso l’empietà di considerare come oggetto di
venerazione i primi principi, ignorando il primo autore di tutte le cose e
creatore degli stessi principi”. Culto della materia che i Greci avrebbero
importato anche dal politeismo degli Egizi.
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