La scrittura come terapia
Si dice che la prima forma di
terapia per tutti i disagi psichici sia la parola. Già Socrate, col dialogo
maieutico, sosteneva che la verità è qualcosa che si partorisce dall’animo,
interloquendo con l’altro.
La terapia clinica in psicologia
utilizza il dialogo come mezzo e strumento diagnostico e terapeutico. Perché il
trauma psichico risiede nelle cose non dette, nelle emozioni non verbalizzate
che, spesso, costituiscono dei problematici nodi emotivi, difficili da
sciogliere.
Insomma bisogna parlare, sfogarsi,
raccontarsi agli altri.
Quando, poi, si tratta di noi,
della nostra intimità, è bene scegliere la persona con cui confidarci, sulla
base della fiducia reciproca.
Un genitore, un maestro, un prete,
possono costituire le figure di riferimento tradizionali. Ma si può avere anche
un amico, cui raccontare se stessi.
Quando questi punti di riferimento
sono assenti, la solitudine crea il problema. Ed accade molto più
frequentemente di quanto si pensi, che anche persone adulte abbiano difficoltà
ad esprimersi con un confidente.
Si pensi alle mamme sole che hanno
da accudire i figli piccoli. I bambini hanno solo diritti, ma non conoscono
ancora i doveri, né possono accogliere la richiesta, inevitabile, di dialogo
materno.
Similmente accade in quelle
famiglie nelle quali è preponderante la presenza di anziani, che vengono
accuditi dai figli (ma generalmente ad occuparsi dei genitori è prevalentemente
uno solo dei figli). Chi sostiene non è sostenuto, a sua volta. Ed è una
ferrea legge della psicologia che chi sostiene deve avere, a sua volta,
qualcuno che lo sostenga a sostenere, per evitare che l’accumulo di tensioni
psichiche in chi accoglie il disagio dell’altro (bambini, anziani, o giovani in
difficoltà) sia preda, di conseguenza, di energie negative, che non riesce ad
orientare positivamente.
Vi è, poi, il discorso culturale,
che non ha un peso meno significativo. Le culture della tradizione, difatti,
non praticavano la formazione della parola, e molte persone, ormai anziane, non
sono abituate a parlare dei loro malesseri, né li sanno verbalizzare, celandoli
a se stesse, ma anche alle persone di famiglia.
Alcune valvole di sfogo delle
negatività accumulate possono essere costituite dallo sport, dalla pratica del
sesso, o dalle attività culturali, scientifiche ed artistiche, come ci
insegnava già il buon Freud. Ma è ovvio che queste forme di sublimazione del
dolore esistenziale, il male di vivere di cui parlava Eugenio Montale,
sortiscono i loro effetti positivi solo ed esclusivamente se sono portate a
termine con passione e piacevole consapevolezza. Altrimenti, come attività fini
a se stesse, rimangono dei meri palliativi di superficie, inefficaci e, oserei
dire, inutili.
A chi non ha nessuna di queste
possibilità non rimane altro che la religione, come pratica di affidamento a
Dio. Il credente trova aiuto e conforto nella confessione che, se fatta bene,
diventa un vero e proprio dialogo di crescita col padre spirituale. Il prete
confessore, infatti, non dovrebbe essere sempre diverso. Bisognerebbe
instaurare un rapporto di fiduciosa amicizia con lui, per fare, insieme,
un percorso di crescita spirituale, vero ed autentico.
Accade, però, che nel mondo
frenetico in cui tutti viviamo, sia difficile anche poter praticare una
qualunque di queste normalissime attività quotidiane, che costituirebbero la
valvola di sfogo delle tensioni psichiche.
Resta difficile trovare amici
fidati, e forse non ne esistono. La religione, da Marx in poi, non va più molto
di moda. Lo sport, sovente, non è praticabile per mancanza di tempo. E non si
ha più il tempo di coltivare e mantenere nemmeno le relazioni umane.
Si potrebbe, così, provare a
parlare con il terapeuta. Ma prima di fare questo passo, che rimane l’ultima
spiaggia per affrontare i propri disagi interiori, e le personali solitudini,
si può tentare un ulteriore passaggio: la scrittura.
Scrivere rimane da sempre uno dei
mezzi diagnostici e terapeutici più importanti dell’umanità. Gli uomini
primitivi scolpivano i graffiti sulle rocce delle caverne per lasciare impresso
un segno del loro passaggio in quei luoghi, a testimonianza della loro
esistenza. Perché agli esseri umani non basta vivere. Chi esiste deve
raccontarsi a qualcuno. La vita si conferma nel suo essere solo quando diventa
narrazione, rappresentazione, divulgazione di se stessi e degli altri
contemporanei.
Il proliferare dei Diari e delle
Lettere, nella letteratura italiana e straniera di ogni tempo, è una realtà
facilmente verificabile a sostegno della capacità analitica della scrittura.
Nella Coscienza di Zeno di Italo
Svevo si fa riferimento alla necessità di Zeno Cosini di mettere tutto per iscritto,
secondo quanto gli aveva richiesto espressamente il suo analista, il dottor S
(che molti hanno interpretato come Sigmud Freud), e di comunicare al terapeuta
attraverso la scrittura, più che con le stesse parole, la sua biografia. Sarà,
poi, lo stesso analista a pubblicare le memorie di Zeno Cosini, per vendicarsi
del suo rifiuto a proseguire la psicoanalisi.
Ma abbiamo anche la letteratura
dei Diari di Anna Frank e di Etty Hillesum, sulla tragedia dell’Olocausto
nazista.
Le Confessioni di S. Agostino, che
rappresentano il diario di un’anima alle prese con la conversione spirituale.
Gli Epistolari, poi, si
moltiplicano in tutti i tempi. E vanno da quelli di carattere
scientifico-divulgativo, a quelli di tipo sentimentale, che raccolgono la
corrispondenza tra amanti.
Se ne deduce che scrivere fa bene.
Ed è vero che chi scrive lo fa prima di tutto per se stesso, e solo
secondariamente per l’eventuale pubblico dei suoi lettori. Ed è un bene che sia
così. Perché solo chi scrive per se stesso, per dare sfogo ad un’intima
esigenza della propria anima, può sperare di essere letto con passione e fino
in fondo. Difatti nessuno interessa tanto all’altro come quando si mette a
nudo, raccontando se stesso, senza veli e ipocrisie.
Prima di passare dall’analista,
raccontate voi stessi ad un foglio di carta, che resta muto, ad ascoltarvi; non
vi dà consigli, lasciandovi agire liberamente; non pretende di poter cambiare
la vostra vita, secondo i suoi desideri; e, soprattutto, non vi impone niente.
Tutto questo, vi aiuterà a capire meglio cosa volete da voi stessi, chiarendovi
le idee. Spesso, indirizzandovi e orientandovi a trovare la strada più giusta
per la vostra vita. Se poi proprio non ce la fate da soli, passate a fare due
chiacchiere con lui. A volte, quando in una situazione si è troppo coinvolti,
non si riescono a vedere soluzioni, che appaiono, invece, ovvie a chi ne sta al
di fuori. In questo caso, il consiglio di uno specialista non potrà che farvi
bene.
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