Reciprocità


Nei rapporti umani è fondamentale la reciprocità.
Reciprocità vuol dire che nella relazione non è sempre uno dei due interlocutori a fare determinate cose. Perché nei legami veri non esistono ruoli ben definiti, o stabiliti una volta per tutte.
Ciascuno fa quello che può e che sente di fare al momento opportuno. Donando e accettando, senza regole determinate.
Reciprocità però vuol dire dunque che, anche senza sapere quando, se ti cerco, poi mi aspetto che anche tu mi cerchi. Se ti regalo un’attenzione, poi spero di ricevere un’attenzione. Se ti faccio dono del mio tempo, vorrei che tu mi offrissi il tuo. Se mi rendo disponibile auspico che tu lo sia con me altrettanto. Se ti voglio bene e ti rispetto, anche tu dovresti fare lo stesso.
Perchè si ha un bel dire che bisogna comportarsi in un certo modo solo per il gusto di farlo, e non perché ci si  attende di essere ripagati con la stessa moneta.
Considerato che la santità rimane, per i comuni mortali, una mera aspirazione alla virtù più elevata, come esseri umani ci relazioniamo tra di noi nella prospettiva dello scambio, e non del donarsi infinitamente, e senza ritorno, per il solo piacere di guadagnarci un posto in paradiso.
La reciprocità, inoltre, rappresenta il confine tra un rapporto sano ed uno malato.
Se dono per il mero piacere di donare, senza essere una crocerossina, vizio il mio interlocutore, creando in lui l’aspettativa, che poi matura in convinzione, che debba essere sempre io a fare il primo passo nella nostra relazione.
La costruzione di questa attesa, mi mette in soggezione nei confronti dell’altro, che si aspetterà sempre e comunque che sia io a dover dimostrare qualcosa; e farà sentire me in dovere di dare sempre di più per provare quel qualcosa che la sua convinzione mi fa ormai percepire come un atto doveroso.
Su questa base di rapporto si costruiscono e si rinsaldano, nel tempo, le relazioni tossiche, che portano al giogo psicologico tra una vittima ed il suo carnefice, rendendo possibili tutti gli abusi, fino alla violenza fisica e psicologica, e al femminicidio vero e proprio, quando questi rapporti si costruiscono dentro le relazioni eterosessuali, a forte componente affettiva ed emotiva.
Rimane vero che quando faccio dono di me, in una relazione umana, non devo stare lì ad attendere il tempo che scorre per verificare quando e in che misura mi venga restituito ciò che ho dato. Ma è altrettanto ovvio che l’amicizia, così come l’amore, si fondano sulla gratificazione dello scambio. Perché gli affetti vanno costruiti nella quotidianità del reciproco donarsi. E crescono sui comportamenti che fanno comprendere all’altro che per me è importante.
La reciprocità mi fa capire che non sono invadente; che il mio darmi è gradito; che l’altro risponde alla mia chiamata e al mio invito a stare nella relazione; che è sensibile alle mie attenzioni; che vuole stare nel rapporto; che si sta impegnando a costruirlo insieme a me.
La reciprocità è dialogo; è prendersi cura dell’altro; rinsalda la mia volontà; mi fa crescere nell’amore; mi gratifica; mi rende sicura; mi offre la certezza che l’altro desideri le stesse cose che voglio anche io. Mi dà la forza di andare avanti, nonostante le inevitabili difficoltà della vita.
Una relazione umana che non si fondi sulla reciprocità è un monologo e un’illusione.
Le domande senza risposta, i silenzi, le assenze prolungate, i dubbi, la labilità del rapporto, le attese infinite e senza tempo, mi dicono che l’altro non c’è. Che non sta con me. Che, molto probabilmente, è già altrove, da qualche altra parte. E allora anche per me non è più salutare rimanere dentro la relazione.

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