Le Mani della Madre
“Ho scritto questo libro perché
volevo essere giusto con la madre. Bisognerebbe provare ad esserlo.
Bisognerebbe essere giusti con le madri e riconoscere loro la funzione
essenziale ed insostituibile nell’adozione simbolica della vita. Bisognerebbe
sottrarre la maternità ad ogni sua rappresentazione naturalistica: madre non è
il nome della genitrice, ma, al di là della Natura, al di là del sesso e della
stirpe, è il nome di quell’Altro che offre le proprie mani alla vita che viene
al mondo, che risponde alla sua invocazione, che la sostiene con il proprio
desiderio. Bisognerebbe non ridurre la madre a un appetito di morte, a una
spinta a divorare il proprio frutto, a diventare proprietaria esclusiva e
incestuosa della vita che ha messo al mondo. Bisognerebbe non dimenticare che
il bestiario che accompagna immancabilmente la sua figura (la piovra, il
coccodrillo, la chioccia, il vampiro) fornisce solo il suo lato in ombra,
patologico, abnorme, che non fa giustizia della sua forza positiva che
oltrepassa di gran lunga quel bestiario. Bisognerebbe non identificare la madre
con il virus di ogni malattia psichica. Bisognerebbe non dimenticare la
donazione che precede ogni eventuale divorazione e che custodisce la memoria
più profonda del materno. Bisognerebbe ripensare la madre a partire dalla sua
memoria, dalla sua eredità. Il legame arcaico con la madre non è solo una palude
mortifera da cui bisogna liberarsi, ma è in primis una donazione che rende
possibile la trasmissione non solo e non anzitutto della vita in quanto tale,
ma del sentimento della vita, del desiderio di vivere. La psicoanalisi sa bene
quale sia l’incidenza di questa eredità nel processo di umanizzazione della
vita: l’alimento di cui si nutre la vita è il desiderio dell’altro.
Bisognerebbe anche non dimenticare l’attesa della madre, e il suo volto come
specchio del mondo. Bisognerebbe non confondere la madre con il seno, non
confondere la soddisfazione dei bisogni con il dono del segno d’amore, non
confondere le sue cure con una tutela senza ossigeno. Bisognerebbe non pensare
solo alla sua onnipotenza oscura, ma anche alla sua mancanza. Bisognerebbe
provare a essere giusti con la madre e riconoscere nelle sue mani un’ospitalità
senza proprietà di cui la vita umana necessita. Bisognerebbe rintracciare nel
suo dono del respiro la prossimità che la vita abbia un inizio e che possa ogni
volta ricominciare”.
Questo è ciò che scrive Massimo
Recalcati nell’Epilogo del suo ultimo libro, in ordine di tempo, Le Mani della
Madre, pubblicato nel 2015. Libro con il quale lo psicoanalista lacaniano
continua gli studi che aveva iniziato sulla famiglia, cominciando a studiare la
figura del padre, attraverso i complessi di Edipo e di Telemaco, nelle
pubblicazioni precedenti, intitolate Cosa Resta del Padre? e Il Complesso di
Telemaco.
In questa pubblicazione, che
intende fare giustizia nei confronti della madre, il mito che presenta la madre
ossessiva e possessiva è quello di Medea che, dopo aver scoperto il tradimento
del marito Giasone, decide di farsi giustizia uccidendo i suoi stessi figli,
perché niente rimanga di quella storia d’amore, spezzata dal loro stesso padre.
E perché Giasone non possa vantare una discendenza. Ma anche perché una donna
innamorata non perdona, nemmeno in nome della maternità. Medea decide così di
togliere la vita ai suoi stessi figli, per punire Giasone, che aveva osato
tradire il suo amore. Ma Medea esprime una visione patologica della madre.
Nella normalità, per l’immaginario
collettivo, secondo Recalcati le madri sono le loro mani che sorreggono la
vita; sono lo sguardo dei primi giorni, che tiene tra le braccia; sono il seno
che allatta e nutre; sono il segno di una mancanza, di un’apertura, che
trasmette il desiderio di vivere, e la sua passione.
La madre è il nome del primo
soccorritore. Colei che viene invocata nel momento di massima disperazione. Ma
madre è anche la donna che lascia andare, che sa lasciare andare. Perché sa che
quell’andare via dal figlio lo salverà, gli restituirà la vita; lo farà nascere
ancora come essere umano.
La madre è anche donna. E sempre,
questo rapporto inscindibile tra donna e madre si pone alla base di ogni sana
relazione, come di ogni sua patologica distorsione.
Spesso la madre divora la donna,
come nel caso delle madri coccodrillo, chioccia o piovra. In questi casi il
sostegno materno diventa ossessivo ed assolutizzante. Impedisce ai figli di
crescere armoniosamente e, piuttosto che dare la vita, condanna alla morte. La
splendida Supplica a mia madre che Pier Paolo Pasolini dedica alla
madre, per raccontarle il suo dolore di omosessuale, condannato ad amare una
sola donna nella vita, lei, sua madre, spiega esemplarmente questo disagio
profondo del figlio che non viene lasciato andare, che viene trattenuto e
soffocato dalle cure materne. E che più viene trattenuto più vorrebbe
liberarsi, senza riuscire mai ad elaborare il lutto psicologico che fa
diventare uomo, altro dalla madre.
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame
d'amore, dell'amore di corpi senza anima.
Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l'infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l'unico modo per sentire la vita,
l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…
Ma accade anche che sia la donna a
divorare la madre. Ed è il caso delle madri narcisistiche, che vedono la
maternità come un tradimento verso la donna che avrebbero voluto essere; e
vivono i figli come un ostacolo alla loro realizzazione professionale e
personale.
Entrambe queste tipologie di madri
sono carenti di equilibrio, e non di rado la loro presenza si rivela
distruttiva. Sono madri che non generano di nuovo la vita, ma la spengono,
minando le certezze e decostruendo il fragile sé, in evoluzione, dei loro
stessi figli.
Perché la madre, alla pari del
padre, è necessaria ad uno sviluppo equilibrato. Ella rappresenta una figura
unica ed insostituibile, e non può essere sminuita o assente, in favore del
padre.
Padre e madre devono mantenere
ruoli distinti, e complementari tra loro. E questi ruoli si devono formare,
parallelamente, nelle immagini mentali, e rappresentative, che dei genitori
hanno i loro figli.
Solo così si può garantire un
armonico sviluppo, dall’infanzia, alla gioventù, all’età adulta, in cui quei
figli dovranno poi assumersi nuove responsabilità, nei confronti di se stessi e
della vita in generale.
La madre non potrà mai dire a sua
figlia come si fa ad essere donna. Ma può mostrarglielo praticamente, essendo
madre e donna ella stessa.
Non c’è nessun principio educativo
che si trasmetta meglio di un buon esempio, coerente e fermo nella sua
risoluzione, che divenga, pertanto, modello esemplare e lezione di vita ai
figli.
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