Il diritto legittimo alla resistenza in Simone Weil e Gandhi
La guerra ha fatto sempre
discutere i filosofi. C’è chi è a favore, come Hegel; e chi si mostra
contrario, come Kant. Ognuno ha detto la sua, nel corso dei secoli. L’unica
cosa certa è che la guerra non è stata ancora eliminata. E sembra sia il solo
sistema che i popoli adottano per risolvere i conflitti ardui e apparentemente
irredimibili. Il secolo scorso ha rappresentato il boom, con le due guerre
mondiali, e la guerra fredda (terza guerra mondiale). Oggi si combatte a colpi
di finanza quella che alcuni (Diego Fusaro) hanno definito come la quarta
guerra mondiale. Una guerra che significa accaparramento delle risorse
disponibili, crescita a dismisura per i paesi globalizzati, e inasprimento
delle condizioni di miseria per il terzo mondo. Ma si combatte anche una nuova
guerra santa. Quella che l’Isis ha dichiarato all’Occidente capitalistico. E
poiché questa dichiarazione di guerra si è, con gli ultimi fatti di cronaca,
apertamente manifestata a tutti i francesi, ma anche agli altri popoli europei,
questo ci pone un problema. E il problema risponde ad un preciso interrogativo:
esistono guerre giuste? Cioè, è legittimo, in alcuni casi, fare guerra ai
propri nemici? S.Agostino parlava di guerra giusta, quando il conflitto è
diretto a sanare una questione di principio, come potrebbe essere una legge
morale, o un precetto religioso, sistematicamente infranto dalla categoria del
nemico. Perché, certo, per dichiarare guerra, giusta o sbagliata che sia,
bisogna immaginare che esista qualcuno che si possa definire un nemico.
Agostino riconosce il nemico in colui che gli si oppone per motivi religiosi,
che fanno riferimento ai valori, infranti e disconosciuti dall’altra parte,
fino a calpestare il suo stesso diritto di essere e di esprimersi. Si fa
fatica, ad ogni modo, ad immaginare che ci siano guerre combattute per motivi
diversi da questi. In fondo, ogni conflitto nasce nel momento in cui qualcuno
crede di non essere rispettato e riconosciuto da quello che diventa così un
nemico. Questo discorso, se portato alle estreme conseguenze, riconosce al
cattolico, ma anche all’islamico, il diritto di dichiarare guerra a chi non
rispetta il suo credo religioso. E la gravità di questo modo di ragionare è
che, precisamente in tal caso, si tratta di guerra santa. Dunque, sulla base di
tali presupposti, sarebbe guerra santa anche la jihad, non nel senso in cui
essa è ritenuta dagli islamici, ma precisamente nel modo in cui la intende S.
Agostino, come guerra giusta, che risponde ad un’offesa ricevuta. Un guerra che
è doveroso combattere.
Ci sono, però, nel Novecento,
alcune alternative di pensiero a questo modo di intendere la guerra. Per citare
solo due casi, si tratta di Simone Weil e Gandhi. Entrambi pensatori fortemente
intrisi di spiritualità, quasi mistici. Entrambi, come Socrate, hanno fatto
della filosofia lo scopo principale delle loro esistenze, vivendo come un credo
religioso, sulla loro stessa pelle, l’esperienza del pensiero.
Simone Weil, è una parigina
travolta dai fatti del 1940, quando i nazisti entrano nella sua città e la
saccheggiano, radendola al suolo. La distruzione di Parigi, vissuta come una
ferita profonda, fa immaginare alla Weil che possano esistere guerre legittime,
combattute per difendersi dall’aggressore. E, di più, giungerà a scrivere, ne
La Prima Radice, che un popolo che non si difende accetta passivamente il suo
stesso annientamento. Guerra giusta è per Simone quella guerra che viene
combattuta per difendere i valori e gli ideali di una nazione che, altrimenti,
finirebbe per scomparire come popolo e civiltà.
Di parere diverso è Gandhi, il
quale, attraverso la sua lotta nonviolenta contro il dominio coloniale inglese,
intende dimostrare che ogni forma di violenza non fa altro che alimentare la
crudeltà dei conflitti. La non collaborazione e la resistenza passiva sono le
sole armi legittime di un popolo oppresso e soggiogato. La sua filosofia
politica non è un puro e semplice pacifismo, come quello di Weil, ma diventa
attività e lotta nonviolenta.
C’è una differenza importante tra
i due paesi, l’India di Gandhi e la Francia di Simone Weil. E questa differenza
consiste, precisamente, nel fatto che l’India subiva la pressione costante dei
suoi colonizzatori, mentre la Francia era stata aggredita e ci si poneva il
problema se fosse legittimo imbracciare le armi per difendersi, o arrendersi al
nemico, rappresentato dal nazismo tedesco di Hitler. La differenza è, qui, di
vitale importanza, e la richiama la stessa Weil, sostenendo che si tratta di
continuare a combattere per la propria libertà o lasciarsi andare del tutto,
senza opporre alcuna resistenza. Ed è proprio alle forze della Resistenza che
Weil fa riferimento, dichiarandola legittima e giusta, per tutta l’Europa.
Insomma, se Gandhi riconosce un
diritto a lottare in modo non violento per difendere una civiltà ed una
cultura, Weil ritiene legittima e santa l’autodifesa di un popolo che rischia
il genocidio e dunque la scomparsa.
A questo punto, mi pongo un ultimo
interrogativo. Esiste un diritto alla difesa? Oggi, cioè, la legittima difesa è
ancora riconosciuta e tutelata dalle leggi dello stato? Se è legittimo per
un’intera nazione ribellarsi all’aggressore, a tal punto da ritenere giusta e
santa la guerra che a lui si dichiara, è possibile, per il cittadino privato,
potersi difendere da chi minaccia la sua integrità e vita?
Se penso che chi si difende, e
uccide senza volerlo, viene poi accusato di omicidio, e deve subire un
processo, passando dalla ragione al torto, io, personalmente, mi riservo di
avere dei dubbi.
Immaginando, poi, cosa accadrebbe
a un popolo, se non potesse legittimamente difendersi dall'aggressore, in caso
di attacco, rivolgo il pensiero agli Ebrei, e mi sovviene il loro genocidio.
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