Solitudine
Chi non sa stare da solo non sa nemmeno convivere con gli altri. Regola aurea elevata ad imperativo morale.
Imparare a stare da soli aiuta a
riflettere, a meditare, a considerare la personale condizione, non
soltanto relativamente al proprio sé individuale, ma anche a quello con
il quale si entra in relazione.
Stando in solitudine, si possono
ripensare quegli aspetti della socialità che, nel chiasso e nella
chiacchiera, sfuggono inevitabilmente, complicando i rapporti.
Soprattutto, da soli, ci si abitua a non
dipendere dagli altri. E a non cercare la compagnia per l’incapacità di
sostenere la solitudine.
Altrimenti si è portati a desiderare lo stordimento alle ansie personali nella compagnia ad ogni costo.
Si sta con gli altri non per il piacere
della condivisione reciproca, quanto piuttosto perché si teme la
solitudine, e perché non si è abituati a stare da soli.
Questa fragilità del nostro tempo porta ad accontentarsi di rapporti che non sono più fondati sulla qualità e sulla scelta.
Pur di non restare soli ci si fa andare bene chiunque.
Il legame di affidamento amicale viene
così progressivamente sostituito dal bisogno dell’altro, che diventa un
sostegno alle insicurezze individuali piuttosto che una ricchezza che
nasce dall’essere in relazione.
Chi sta con l’altro non per averlo
scelto, ma perché non sa stare da solo, e ne ha bisogno per sostenersi,
vizia la sua relazione che si presenta già malata in partenza, a causa
di questa pecca.
Al contrario, chi sa stare da solo
sceglie i propri amici nella convinzione di accompagnarsi con persone
che gli piacciono, che gli offrono quegli stimoli di cui egli è alla
ricerca. E ciò farà stare bene tutti coloro i quali saranno dentro
quella relazione, o ne saranno in qualche modo toccati.
Rapporti impostati in modo diverso da
questo, sebbene possano sembrare bei legami di amicizia o amorevoli
unioni di coppia, sono asfittici, viziati, e destinati a finire con
strappi e lacerazioni anche molto dolorose per entrambi.
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